Il Comune di Fiorano Modenese invita tutti i cittadini domani – domenica 15 febbraio – alle celebrazioni del 64° Anniversario dei Caduti del 15 Febbraio 1945.
“L’Italia democratica ha bisogno oggi più che mai di memoria, di tramandare valori nella consapevolezza della loro irrinunciabilità come baluardi fondanti della nostra democrazia , della nostra convivenza del nostro progresso civile. Per questi valori, i cinque partigiani di Fiorano hanno combattuto a prezzo della loro vita la Guerra di Liberazione contro il regime fascista e l’occupazione nazista, culminata nella loro fucilazione il 15 febbraio 1945”.
Alle ore 9 è previsto il raduno in Piazza Ciro Menotti, con il concerto della Banda di Solignano. Alle ore 10 Santa Messa nella Chiesa Parrocchiale di Fiorano e, al termine, posa corone al Monumento di Piazza Ciro Menotti. Alle ore 11.15 saluto del Sindaco Claudio Pistoni presso il Palazzo Astoria e alle ore 11.30 concerto della Banda di Solignano. Nella sala espositiva del Palazzo Astoria verrà allestita la Mostra documentara “Ricordando l’esodo Giuliano-Dalmata. Modena e Carpi 1945-1970” a cura dell’Istituto Storico di Modena.
In quel freddissimo inverno fra il 1944 e il 1945, in seguito all’uccisione di un soldato tedesco da parte dei partigiani avvenuto in Via Gramsci a Fiorano, il comando di occupazione nazista decise per rappresaglia di uccidere cinque partigiani prelevati dalle carceri dell’Accademia Militare di Modena. A nulla servono i tentativi di mediazione. I cinque partigiani vengono bendati, legati al muro e giustiziati attraverso fucilazione: Filippo Bedini ha 25 anni, Tauro Gherardini 23 con moglie e due figli, Giuseppe Malaguti 42 con moglie e tre figli. Venti anni ha Raimondo Dalla Costa e soltanto diciannove Rubes Riccò. Nessuno dei cinque ha alcuna responsabilità per la morte del soldato tedesco.
TESTIMONIANZE
Dal racconto del partigiano Manù (raccolto da Adriano Giampietro per la Nuova Gazzetta di Modena):
“Manù – ebbe l’ordine di prelevare a Fiorano un certo Martelli, indicato come spia dai servizi segreti americani. Erano i primi giorni del febbraio 1945. Il capo partigiano arrivò, poco dopo le 23, con alcuni uomini alle porte del paese a bordo di una Balilla. Il gruppo di fuoco si mise senza successo alla caccia di Martelli. Manù decise allora di costringere l’allora segretario del fascio locale, Augusto Vandelli, a rivelare il nascondiglio della spia. Ma il gerarca riuscì a saltare da una finestra e a nascondersi nell’androne di un cortile”.
Dai verbali della Brigata Stop:
“Mentre la pattuglia stava per uscire, un altro tedesco si presentò davanti a loro, alla distanza di 15 metri, armato di mitra. Anziché sparagli, per non dare danno al popolo, senza esitazione il comandante Manù si gettò solo in mezzo ala strada, imponendogli con mitra spianato le mani in alto. Il tedesco accettò, ma in cuor suo meditava come sanno meditare i traditori ormai vinti. Mentre il comandante avanzava verso di lui, a un metro di distanza, con un balzo felino il tedesco lo avvinghiò. Si accese così una lotta corpo a corpo, quando all’improvviso si udì un colpo di pistola ed il tedesco allentò la morsa, colpito da un patriota e come un ramo cadde. Era la fine dell’impresa”.
Dal racconto dei familiari di Filippo Bedini:
“Il 12 febbraio 1945 alle Ferrovie Provinciali verso sera la sorella Maria, mentre era sul treno in partenza per Castelnuovo Rangone ove era sfollata, vide arrivare dei tedeschi che scaricavano da un camion alcuni prigionieri con le mani legate. Tra questi riconobbe il fratello Filippo; scese dal treno e si avvicinò al gruppo; un tedesco le puntò il fucile contro, dicendo che erano partigiani e che venivano portati all’impiccagione. Maria supplicò per avvicinare Filippo; guardava quegli uomini muti che le facevano cenni incomprensibili e si fece forza chiedendo di poter almeno baciare il fratello. Glielo concessero purché non parlasse e lei lo baciò in silenzio poi venne allontanata. Uno sguardo di Filippo le disse che gli avrebbe fatto piacere che lei rimanesse e il suo treno partì senza di lei. Arrivò poi un altro treno sul quale i tedeschi caricarono i prigionieri. Maria li seguì salendo nel vagone merci dove erano stipate biciclette e cose varie. Il treno partì; ad ogni stazione la sorella sporgeva il capo per controllare i movimenti del gruppo di prigionieri. Alla stazione di Fiorano la presenza di molti tedeschi in attesa le fece presumere che fosse la stazione di arrivo per i cinque prigionieri. Scese mescolandosi alla folla. Filippo, per sincerarsi che la sorella fosse scesa, la chiamò ad alta voce; Maria rispose e i tedeschi si resero conto che la sorella li aveva seguiti ma non riuscirono ad individuarla in mezzo ai passeggeri. Maria vide il fratello che insieme agli altri partigiani, in testa alla colonna, veniva portato lungo la strada che dalla stazione porta al paese di Fiorano e lo seguì mescolandosi alla gente che tornava”.
Un articolo del L’Unità Democratica ricorda Raimondo Dalla Costa (Coccarda):
“Ad un certo momento sembrò che i nostri sforzi giungessero ad un risultato. Sperammo. E la gioia di poterlo riabbracciare ci fu di confonto ancora. A Fiorano avrebbe dovuto avere luogo uno scambio di ostaggi. Coccarda era tra questi. Quel giorno, ricordo, attendemmo con ansia Alberto. Ci incontrammo con lui ad un appuntamento. Ci incontrammo con lui ad un appuntamento. Non ci parlò dell’amico. Noi comprendemmo il suo silenzio. Prima di lasciarci egli ci disse: “Non hanno voluto. Raimondo Dalla Costa è stato trucidato”.
Testimonianza dei familiari di Rubes Riccò:
“Una sera ci riunimmo e decidemmo di entrare nella Brigata Garibaldina (Remo), che operava nel comprensorio di Mirandola e nei comuni vicini. Ma le armi erano scarsissime e lui decise di andare a lavorare dove c’era uno smistamento di materiale bellico tedesco, riuscendo a portar fuori armi e bombe a mano. Dopo alcuni mesi di questo pericoloso lavoro, una spia fascista venne a conoscenza che io e cinque cugini eravamo entrati nella Brigata Remo. Rubes fu arrestato e portato nelle carceri di S. Eufemia, dove subì lunghi interrogatori e percosse di ogni tipo, ma non ha mai rivelato dove era il rifugio del GAP al quale noi appartenevamo. Prelevato dalle carceri in febbraio, fu fucilato a Fiorano”.