Dal 8 al 29 novembre, l’associazione culturale Magazzini Criminali, con sede a Sassuolo, presenta una personale dell’artista Monia Marchionni.
Io sono bianca, e sono altrove, dice Monia Marchionni.
Il bianco è il colore della luce, del Bianconiglio in arrivo dal Paese delle Meraviglie, dei libri dei conti segreti. L’aureola dei santi è bianca, e anche le secrezioni amorose. Bianca è la pagina vuota, la panna montata, la distanza siderale della Via Lattea. Bianco è il latte materno e il disco più controverso dei Beatles. L’incarnato delle principesse delle fiabe è bianco come la neve. Solamente il guscio superficiale del bianco significa purezza. Il suo livello intermedio esprime la totalità, la pienezza, la somma di tutti i colori dello spettro cromatico. Ma nel profondo il bianco rappresenta la mutazione, la metamorfosi, il cambiamento, il passaggio da uno stato all’altro. Per questo le spose si vestono di bianco, e il bianco è il colore associato al lutto e alla morte nell’Estremo Oriente.
Il bianco esprime una condizione liminare, aperta a possibilità infinite.
Il limite oltre il quale si trova la vera natura delle cose.
Monia Marchionni innalza una colonna bianchissima al centro dello spazio. Alla sua base c’è un solido cubo bianco e smaltato, la cui durezza si disfa nella trama soffice del tessuto, trasformandosi in una pila di candide camicie.
Questo indumento, nel sistema della semiologia della moda, indica eleganza, elite, ordine, omologazione, condizione terziaria irreggimentata. Dal top e alla gerarchia. Durante lo sviluppo ascensionale della colonna, le camicie abbandonano gradualmente la loro forma, trasformandosi in tessuto ordinato e piegato, tessuto che poi cede all’entropia, scompaginandosi, ingarbugliandosi, intrecciandosi fino a diventare una fune. La fune rappresenta il vettore di tensione fra uno stato e l’altro. I due poli che connette sono il piano di realtà e la dimensione simbolica, il mondo, la società con le sue regole, i suoi doveri, la sua parvenza ordinata, e poi l’immaginario, la speculazione sul mondo, l’arte. Arte che solo apparentemente è caos, per il suo ammettere e decantare la coincidenza degli opposti. Monia Marchionni realizza una macchina alchemica duchampiana, un dispositivo magico di trasformazione, di creazione, di viaggio, che ci pone delle domande sul senso della pratica artistica e sulla sua importanza per decrittare la realtà che ci circonda. La fune, oltre che un’attrezzatura per la fuga e per la conquista di uno spazio altro, costituisce anche un vincolo, un legame, un imperativo categorico per chi decide di utilizzarla.
La pratica pittorica dell’artista si caratterizza come riflessione sul tempo, per quel suo scegliere una tecnica che arriva dal passato remoto, l’imprimitura, e per la lunghezza della lavorazione. La formula prescrive la realizzazione di un fondo, caldo e liquido, formato da strati di gesso di Bologna, che viene mescolato a colla di coniglio. Dopo aver ottenuto uno spessore di tre millimetri, bisogna carteggiarlo, inciderlo con la punta secca, trattarlo ai fini di isolarlo dagli agenti atmosferici. L’intervento sulla materia è capillare e profondo, e si coniuga alla ricorrenza formale del cerchio. Questa figura delinea una dimensione temporale alternativa alla retta di matrice giudaico-cristiana, tesa verso una serie di scopi che hanno come fine ultimo la morte.
Il cerchio ha un andamento infinito, rappresenta il cambiamento e la rinascita.
Il ciclo di opere pittoriche progetta una futura espansione nell’ambiente, in modo da configurarsi nel segno di un divenire fluido e senza soluzione di continuità.
Luiza Samanda Turrini
Monia Marchionni, italiana, di origine belga da parte materna, nasce nel 1981 a Fermo (AP). Dopo aver conseguito il diploma all’Istituto d’Arte, nel 2000 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Bologna; allieva del critico Walter Guadagnini, segue i corsi di Pittura di Stefano Scheda, Antonello Viola e il corso di Incisione di Clemente Fava.
L’Accademia per lei rappresenta un luogo vissuto in stretta relazione con i maestri dell’arte contemporanea; in tal senso nel 2003 ha l’opportunità di partecipare ai workshop degli artisti Leonardo Cremonini e Karin Andersen, e nel 2004, attraverso il corso di Estetica della prof.ssa Rosalba Paiano, alle conferenze di Sisley Xhafa, Bernd & Hilla Becher e Daniel Buren all’Arte Fiera di Bologna. Queste esperienze rappresentano una tappa importante per la sua maturità artistica.
Nel 2005 si laurea con 110/110 con lode (vecchio ordinamento) presentando una tesi in Storia dell’Arte contemporanea. Con l’appoggio del suo relatore Walter Guadagnini, propone un elaborato teorico sul poeta e critico militante Emilio Villa (1914-2003).
Nel 2006-2007 collabora con la stessa Accademia come assistente alla cattedra di Decorazione del Prof. Stefano Scheda.
Tra giugno-luglio del 2006, attraverso l’associazione culturale QFWFQ, collabora alla realizzazione dell’evento Incontro con Peter Greenaway (con presenza dell’artista), negli spazi ARTETECA, Palazzo Santa Chiara, (Modena).
Nell’estate del 2007 l’artista inaugura la sua prima esposizione personale: White and Spheres, a cura di Monja Ercoli, Galleria Orange Studio di Porto San Giorgio (AP).
Nel marzo 2008 consegue la seconda laurea alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Bologna con specializzazione in Storia dell’Arte Contemporanea.
Attualmente vive e lavora a Bologna.