A pochi giorni dalla notizia che il Tocilizumab non ha mostrato efficacia nella terapia delle forme meno severe di COVID19, uno studio tutto emiliano-romagnolo ha dimostrato che su un campione di 544 pazienti affetti da polmonite severa il farmaco ha ridotto la mortalità del 75% portandola dal 20% al 7%. Lo studio, coordinato dalla prof. Cristina Mussini di UNIMORE, Direttore della Struttura Complessa di Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Modena è stato pubblicato sul numero del 23 giugno di The Lancet Rheumatology, rivista estremamente prestigiosa. Al momento questo è lo studio osservazionale su pazienti con polmonite grave più importante al mondo per quanto riguarda numerosità e metodologia statistica. Se questi risultati saranno confermati da studi randomizzati più estesi, già in corso, avremo a disposizione un’importante arma nella lotta a una delle più gravi complicanze del COVID19.
Lo studio ha coinvolto anche le Strutture Complesse di Malattie dell’Apparato Respiratorio (prof. Enrico Clini), Terapia Intensiva (prof. Massimo Girardis), Medicina Interna e Area critica (dott. Lucio Brugioni), Medicina Interna (prof. Antonello Pietrangelo), dell’AOU di Modena, insieme alle Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Bologna (diretta dal prof. Pierluigi Viale) e le Malattie Infettive e la Reumatologia dell’Azienda USL di Reggio Emilia (dott. Marco Massari e prof. Carlo Salvarani).
“Il nostro studio – ha commentato la prof.ssa Cristina Mussini – ha convolto 544 pazienti ricoverati nei diversi centri per polmonite severa, che costituisce ad oggi la più grave e pericolosa delle complicanze da COVID19. Come è noto, durante queste polmoniti si scatena un’abnorme risposta del sistema immunitario che produce una risposta infiammatoria esagerata, la così detta “tempesta citochinica”, responsabile del danno polmonare. Ebbene, questa eccessiva risposta immunitaria è in parte governata dalla interleuchina 6, che viene inibita proprio dal Tocilizumab. Lo studio sul nostro campione ha dimostrato una diminuzione della mortalità rispetto ai pazienti non trattati del 75%, portandola da 20% a 7%. Importante segnalare che benché i risultati debbano essere confermati da uno studio randomizzato per la prima volta abbiamo mostrato una analoga efficacia del farmaco somministrato per via sottocutanea rispetto a quello somministrato in via endovenosa.” Lo studio pubblicato su The Lancet Rheumatology è di tipo retrospettivo, cioè utilizza dati preesistenti per confrontare due gruppi, uno curato col farmaco l’altro no. Sono in corso ora studi randomizzati su pazienti con polmonite severa arruolati ex-novo, che prevedono campioni di controllo, su un numero di pazienti più alto che saranno decisivi per dare una risposta definitiva alla domanda sull’efficacia del Tocilizumab come terapia della polmonite severa da COVID19. “I primi risultati di questi studi randomizzati sono promettenti – ha concluso la prof. Mussini che fa parte del comitato scientifico di uno di questi studi, a guida francese – ma ovviamente è fondamentale usare tutte le cautele del caso”.
“A una lettura superficiale – spiegano il prof. Carlo Salvarani e il dottor Marco Massari – questo risultato sembra in contraddizione con quello dello studio di cui l’Azienda USL-IRCCS di Reggio Emilia è stato il promotore e di cui siamo stati tra i gli estensori del protocollo. Tale studio randomizzato con un gruppo controllo in terapia standard non ha evidenziato differenze di efficacia nei pazienti con polmonite da COVID-19 tra i pazienti trattati con tocilizumab e quelli non trattati. In tale studio il tocilizumab è stato dato in fase precoce per valutare il suo ruolo nel prevenire lo sviluppo di una polmonite severa. Perciò tali due studi hanno arruolato gruppi diversi di pazienti con diversa gravità di malattia. Tale differenza potrebbe giustificare i diversi risultati. Lo studio coordinato dalla prof.ssa Mussini ha osservato l’efficacia del farmaco su un gruppo di pazienti colpiti dalla polmonite severa da COVID19 con risultati molto promettenti che andranno verificati nel corso di studi più ampi. Ricordo che ci troviamo di fronte ad una “malattia nuova” eterogenea nelle sue manifestazioni cliniche e nella sua risposta alla terapia. La definizione di sottogruppi clinici che rispondono a definite terapie è di grande importanza per individualizzare la terapia sul singolo paziente”.
“Questo studio conforta le scelte terapeutiche perseguite durante la fase di massima acuzie della epidemia – ha concluso il prof. Pierluigi Viale – dimostra che qualche volta la medicina basata sulle intuizioni può supportare efficacemente quella basata sulle evidenze”.