Vittorino Andreoli, psichiatra di fama mondiale, non è esattamente un campione di visibilità: la sua vita fuori dai riflettori, con poca televisione ma molti social (e migliaia di followers), ormai lo soddisfa a pieno a 78 anni.
Dopo essersi occupato per più di mezzo secolo di “matti” e di adolescenti, ora Andreoli esplora la vecchiaia, un’età considerata di poco conto e che invece, se valutata con il parametro della fragilità, è forse la più bella dell’esistenza, perché la più umana; lo fa nel suo ultimo libro “Il rumore delle parole” (Rizzoli) che porta al BPER Forum Monzani di Modena domenica 24 marzo alle 17. Per smascherare i pregiudizi di una società che continua a considerare l’anziano un peso o peggio ancora una difficoltà economica, Andreoli mette in scena un teatro della verità a tratti autobiografico. “Voglio che la mia vecchiaia si rappresenti in un teatro perché è crudele nascondere i vecchi che faticano a camminare o che stanno perdendo la memoria del presente e del passato, sentendosi abbandonati e senza alcun significato sociale. Io sogno un umanesimo della fragilità, dove la vecchiaia non sarà più una vergogna, ma la rappresentazione della condizione umana, del significato stesso dell’uomo nel mondo”.
Vittorino Andreoli è stato direttore del Dipartimento di Psichiatria di Verona – Soave ed è membro della New York Academy of Sciences. Tra le sue ultime opere pubblicate in BUR: Le nostre paure (2011), Elogio dell’errore (2012, con Giancarlo Provasi), Il denaro in testa (2012). Con Rizzoli ha pubblicato decine di saggi. Tra gli ultimi compare L’educazione (im)possibile (2014).