Una finestra sulle opere prime di giovani registi italiani, che per colpa di una pessima distribuzione hanno avuto scarsa – se non nulla – visibilità in sala: questa la linea guida del Nonantola Film Festival anche per il 2017. Con la proiezione ad ingresso gratuito de “La pelle dell’orso” di Marco Segato – candidato al David di Donatello 2017 nella categoria Miglior Regista Esordiente – continua domani mercoledì 3 maggio alle ore 21.00 presso la Sala Cinema Massimo Troisi di Nonantola l’undicesima edizione della manifestazione, organizzata dall’omonima associazione affiliata Arci. Il film – tratto dall’omonimo romanzo scritto da Matteo Righetto edito da Guanda – è interpretato da due grandi nomi del teatro italiano, Marco Paolini (anche produttore con la sua Jolefilm) e Maria Paiato, a cui si affiancano Lucia Mascino e per la prima volta sullo schermo il giovane Leonardo Mason.
Anni Cinquanta. Domenico ha 14 anni e vive da solo con il padre Pietro da quando la madre è morta in circostanze misteriose. Pietro, uscito di galera, è il bersaglio della piccola comunità montana che lo considera “una bestia”. Quando in paese si ripresenta el Diàol, il diavolo, un orso che ha già mietuto vittime in passato, Pietro intuisce la possibilità del suo riscatto: dunque scommette con il padrone della cava di pietra locale, Crepaz, che ucciderà l’orso. Se riuscirà nell’impresa guadagnerà una somma enorme per l’epoca e la zona. Se invece fallirà, regalerà un anno del suo lavoro di spaccapietre a Crepaz. Anche per Domenico la caccia all’orso è un’occasione: per riavvicinarsi al padre, mettere alla prova la propria abilità con il fucile, e dimostrare che non è un bocia, ma un giovane uomo pronto ad affacciarsi alla vita adulta.
Marco Segato, autore di documentari e regista teatrale formatosi all’Università di Padova e alla factory delle Scuole Civiche di Cinema di Milano, debutta al lungometraggio con una storia narrata in purezza, tratta dal romanzo di formazione “La pelle dell’orso” di Matteo Righetto (…) “La pelle dell’orso” è un lavoro di squadra capitanato con mano salda da un regista tanto abile nel delegare alle eccellenze quanto nel dare loro la linea da seguire: il risultato è un film solido e coeso che riesce a raccontate con nitore e parsimonia il passaggio di potere e competenze che deve avvenire fra un padre e un figlio, costruito attraverso reciproci appostamenti che occasionalmente coinvolgono anche un orso (assai ben filmato), funzionale alla formazione di un uomo, o forse anche di due. La durezza dei personaggi e dei paesaggi è ben servita da una regia che rifiuta la spettacolarizzazione senza per questo rinunciare all’accessibilità narrativa, e i volti intagliati nel legno dei protagonisti contribuiscono al racconto più delle loro parole scarne e schive. A poco a poco ognuno svelerà i propri segreti, con pudore e sollievo: perché i macigni sulla coscienza non si spaccano con la vanga, ma con la capacità di ascolto.