Nonantola Film Festival, si spengono le luci e si accendono i proiettori sulla decima edizione. L’onore della preapertura spetta a Bomporto – ‘new entry’ tra i Comuni dell’Unione Terre del Sorbara sotto l’egida della manifestazione – con la proiezione alle ore 21.00 al Cinema Teatro Comunale in via Verdi 8/A del documentario “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi, vincitore dell’Orso d’oro al Festival di Berlino 2016. Ingresso rigorosamente gratuito per tutti.
Gianfranco Rosi (classe 1964, regista e documentarista, premiato con il Leone d’oro alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2013 per “Sacro GRA”) racconta Lampedusa attraverso la storia di Samuele, un ragazzino che va a scuola, ama tirare sassi con la fionda che si è costruito e andare a caccia di uccelli. Preferisce giocare sulla terraferma anche se tutto, attorno a lui, parla di mare e di quelle migliaia di donne, uomini e bambini che quel mare, negli ultimi vent’anni, hanno cercato di attraversarlo alla ricerca di una vita degna di questo nome trovandovi spesso, troppo spesso, la morte.
Per comprendere appieno un film di Gianfranco Rosi è prioritariamente indispensabile liberarsi da una sovrastruttura mentale alla quale molti hanno finito con l’aderire passivamente e in modo quasi inconscio ed indolore. Si tratta del format dell’inchiesta giornalistico-televisiva che si concretizza in immagini scioccanti, in interviste più o meno interessanti finalizzate a un impianto (in particolare sulla tematica delle migrazioni) ideologicamente preconfezionato. Rosi si allontana in maniera diretta, a partire dalla scelta, fondamentale, di aborrire il cosiddetto documentario ‘mordi e e fuggi’ che vede la troupe giungere sul luogo, pretendere di capire in fretta o comunque di mettere in ordine i propri pregiudizi e ripartire quando pensa di ‘avere abbastanza materiale’. Il regista è rimasto per un anno a Lampedusa entrando così realmente nei ritmi di un microcosmo a cui voleva rendere una testimonianza assolutamente onesta. Samuele è un ragazzino con l’apparente sicurezza e con le paure e il bisogno di capire e conoscere tipici di ogni preadolescente. Grazie a lui e al suo ‘occhio pigro’, che ha bisogno di rieducazione per prendere a vedere sfruttando tutte le sue potenzialità, ci viene ricordato di quante poche diottrie sia dotato lo sguardo di un’Europa incapace di rivolgersi al fenomeno della migrazione se non con l’ottica di un Fagin dickensiano che apre o chiude le frontiere secondo il proprio tornaconto.