Home Attualita' “L’essere umano prima delle categorie”: il Messaggio alla città di monsignor Erio...

“L’essere umano prima delle categorie”: il Messaggio alla città di monsignor Erio Castellucci

# ora in onda #
...............




Mons-CastellucciUn tessuto sociale sano, il contributo  della Chiesa alla Città, lo stile del confronto, fratelli oltre le divisioni, testimoniare con umiltà e fermezza, una comunità di laici e pastori, prima il sostantivo e poi l’aggettivo: sono i sette punti  della “Lettera alla città” che monsignor Erio Castellucci ha presentato alla stampa oggi, in occasione della Solennità del protettore di Modena, San Geminiano. E’ la prima volta, seguendo una tradizione avviata dal vescovo Benito Cocchi, che monsignor Castellucci si rivolge alla Città. La tradizione di queste lettere nasce nel 1998: la Chiesa di Modena in occasione della festa del patrono San Geminiano, si mette in dialogo con la società civile, evidenziando ogni anno un particolare aspetto o una esigenza della vita modenese.

Questi i passaggi della “Lettera alla città” promulgata da monsignor Erio Castellucci:

Un tessuto sociale sano

Da pochi mesi ho avviato il mio servizio episcopale a Modena-Nonantola e per la prima volta, seguendo una tradizione avviata dal vescovo Benito Cocchi, mi rivolgo alla Città in occasione della Solennità del nostro grande protettore, San Geminiano.

Formulo questa lettera con molta gratitudine, perché sono stato accolto con grande cordialità e disponibilità, espressa sia dalle istituzioni civili e militari, sia dai molti cittadini che ho incontrato o mi hanno scritto. Il tessuto sociale di Modena mi sembra fondamentalmente sano, costruttivo, laborioso e intraprendente. Non ho avvertito quel clima lamentoso e rassegnato che altrove si respira, ma piuttosto – nonostante i molti e complessi problemi – il desiderio di progettare e collaborare.

Il contributo della Chiesa alla Città

Quale contributo offre e può offrire la Chiesa alla Città? In che modo può servire l’unità degli uomini con Dio e tra di loro? La risposta è semplice: continuando a svolgere la sua missione pastorale nella fedeltà al Vangelo. È semplice, però solo in teoria, perché in pratica le persone appartenenti alla Chiesa – ossia i battezzati – cadono spesso nei peccati, nei compromessi, nella ricerca dei propri interessi, talvolta persino nell’illegalità e nel reato. Come scrive Giovanni Paolo II, dunque, per “rifare il tessuto cristiano della società umana”, “la condizione è che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali” (Christifideles Laici 34). La Chiesa non può indicare credibilmente alla Città le strade da percorrere, se contemporaneamente non percorre quelle stesse strade al suo interno.

Chiesa e mondo, del resto, non sono due grandezze parallele, ma si intrecciano: la Chiesa è quella parte di mondo che “guarda con fede a Gesù” come al suo Signore (cf. Lumen Gentium 9). I cristiani sono davvero tali se, all’interno di uno Stato libero e democratico quale è il nostro, sono prima di tutto cittadini onesti. E credo allora che, con tutti i suoi difetti, la comunità ecclesiale incida positivamente sulla comunità civile.

Lo stile del confronto

Nell’agenda sociale di oggi, nazionale e non solo modenese, molti sono gli argomenti all’ordine del giorno. Due tra di essi convogliano ai nostri giorni molte passioni: l’immigrazione e le unioni civili. Sono due temi che destano contrapposizioni culturali e politiche, animano dibattiti anche accesi, ispirano trasmissioni televisive, articoli giornalistici, convegni e numerose prese di posizione, producono abbondante bibliografia.

Non intendo entrare nel merito delle questioni, perché sarebbe ridicolo e presuntuoso dire qualche cosa di sensato in poche righe. Intendo piuttosto segnalare lo stile e il contributo che la Chiesa può continuare ad offrire alla Città, in questi come in altri campi.

Fratelli oltre le divisioni

Le comunità cristiane delle origini, rispecchiate particolarmente nelle Lettere di San Paolo, si trovavano di fronte a tre grandi divisioni sociali: tra giudei e greci, tra schiavi e cittadini liberi, tra uomini e donne. Erano come tre grandi muri, considerati da alcuni come divisioni “naturali”; valevano di più queste categorie sociali distintive, rispetto all’appartenenza all’unica famiglia umana. Contavano di più, in altre parole, l’appartenenza etnico-religiosa (giudei e greci e, più in generale, cittadini e stranieri), la disparità sociale ed economica (schiavi o liberi) e la distinzione sessuale (uomini o donne), rispetto alla fondamentale incorporazione al “genere umano”.

Di fronte a questi muri, i cristiani non si scoraggiarono e testimoniarono che “in Cristo” tutti siamo uno. Era una testimonianza prima dei fatti che delle parole. Nelle case – dove allora si riunivano, non potendo costruire chiese e strutture, come avviene ancora oggi nelle tante situazioni di persecuzione religiosa – i battezzati cominciarono a definirsi tra di loro “fratelli” e “sorelle”. Le distinzioni tra ebreo, greco, schiavo, libero, maschio e femmina vennero subordinate all’unità data dall’unico battesimo, aperto a tutti e non riservato solo ad alcuni.

Nelle case in cui la comunità si incontrava, dette poi dal II secolo Domus Ecclesiae, i fedeli si trovavano tutti “alla pari”: fossero di origine ebraica o pagana, fossero schiavi o liberi, fossero uomini o donne, tutti partecipavano al cammino catecumenale e alle catechesi, tutti potevano prendere parte alle celebrazioni liturgiche e – quando sussistevano le condizioni – fare la comunione e tutti offrivano il loro contributo per progettare la vita missionaria e pastorale della comunità e per assistere i poveri e i malati.

Testimoniare con umiltà e fermezza

Attraverso questa esperienza, fondata sull’abbattimento dei muri da parte di Gesù – muri che emarginavano bambini, donne, schiavi, malati, peccatori e stranieri – le prime comunità cristiane compresero ancora meglio il significato della creazione, per cui su ogni essere umano è impressa l’immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1,26-27) e il significato della redenzione, per cui ogni essere umano, senza distinzione, è unito a Cristo e salvato da lui. Con umiltà e fermezza i cristiani inserirono nelle società antiche il valore della dignità della persona umana e la sua priorità rispetto a tutte le distinzioni di ruoli e condizioni, il primato del sostantivo rispetto all’aggettivo. Umiltà e fermezza: questo è lo stile evangelico.

Umiltà: la Chiesa sa di essere, nella società pluralistica, una delle voci in campo nella società civile e di non avere più corsie preferenziali. Anche per questo non fanno parte del suo stile l’arroganza e la provocazione polemica – prassi così diffuse nel dibattito pubblico – e sono comprese invece la mitezza (cf. Mt 5,5; 11,29) e la disponibilità a ragionare (cf. Gv 18,23).

Fermezza: la Chiesa non può rinunciare a portare avanti, in ogni cultura, quei valori fondati sul Vangelo che ritiene siano contributi alla crescita della civiltà. Se i primi cristiani non avessero osato sfidare i dogmi della società dell’epoca, quelle divisioni etniche, religiose, sessuali, economiche e sociali si sarebbero sfaldate con maggiore difficoltà.

Una comunità di laici e pastori

La Chiesa è una realtà variegata e non monolitica. Una convinzione diffusa identifica la Chiesa con i suoi pastori (papa, vescovi e preti), mentre in realtà essa è formata da tutti i cristiani e quindi, nella grande maggioranza, da laici. Come ha chiarito definitivamente il Concilio Vaticano II, mentre ai pastori compete la formazione delle comunità cristiane attraverso la predicazione, la celebrazione e la guida pastorale, ai laici compete l’impegno diretto nei diversi settori della vita sociale.

Non si può chiedere ai pastori, come talvolta avviene, di sostituirsi ai laici: sul fenomeno migratorio come sulle unioni civili – per accennare ancora ai due temi oggi più caldi – spetta ai laici cristiani entrare nei diversi luoghi in cui si svolge il dibattito: dalla famiglia ai partiti, dalla scuola al mondo del lavoro, dalla cultura al volontariato. Ai pastori spetta formare le comunità ai valori di fondo – fondati sulla rivelazione e sostenuti dalla ragione – che sono alla base delle mentalità e delle prassi e sfociano nelle leggi e nelle normative.

Prima il sostantivo e poi l’aggettivo

In questo spirito, concludo la lettera richiamandone l’idea di fondo: il sostantivo è più importante dell’aggettivo. Il sostantivo “essere umano” è più importante delle sue specificazioni: cittadino o straniero, uomo o donna, cristiano o musulmano, bianco o nero, povero o ricco, sano o malato, nascituro o nato, giovane o vecchio, santo o peccatore. Se dimentichiamo questo principio, fondamento della civiltà occidentale nata anche con l’apporto del cristianesimo, retrocediamo anziché progredire. Questo principio è servito soprattutto a proteggere gli esseri umani più deboli e riconoscere loro uguali diritti.

Nel dibattito sull’immigrazione, occorre tenere presente la priorità dell’“essere umano” sullo “straniero”, specialmente quanto è rifugiato e quindi in una situazione particolarmente debole e sofferente; dentro a questa priorità va favorita l’inclusione o integrazione sociale, in un contesto di piena legalità e adesione alla Costituzione italiana e alle leggi del nostro Stato. La Città non può respingere per principio chi proviene da fuori, ma deve favorire – come sta facendo – un processo educativo che comporta l’alleanza tra istituzioni pubbliche e private, famiglie, scuole, parrocchie, volontariato. La Chiesa quindi fa e può continuare a fare molto per l’accoglienza e l’integrazione, contribuendovi attraverso la sua grande e spesso poco appariscente opera educativa, verso i cristiani e verso i non cristiani.

Anche nel dibattito sulle unioni civili e sui temi in genere ad esso collegate – come il gender o le unioni omosessuali – è necessario comporre il riconoscimento dei cosiddetti “diritti civili”, in modo che non vi siano discriminazioni individuali, tenendo però presenti le parti più deboli: la famiglia fondata sul matrimonio e i bambini. La famiglia sposata, infatti, appare oggi in alcuni casi socialmente penalizzata rispetto alle coppie conviventi; dai tempi antichi, invece, le legislazioni avevano favorito l’unione stabile tra un uomo e una donna, in vista dell’accoglienza ed educazione dei figli e di una trasmissione ordinata del patrimonio: non quindi per motivi religiosi, ma per motivi sociali. I bambini poi, per crescere e maturare, richiedono entrambe le figure parentali, maschio e femmina: è necessario mettere loro, come parte più fragile, al centro dell’attenzione e farne il perno dei “diritti” anche quando si tratta dell’adozione.

Consegno queste riflessioni a chiunque desideri proseguire un dibattito che non si limiti a dare voce ad emozioni momentanee, ma accetti di ragionare e confrontarsi sulla teoria e sull’esperienza.

 

31 gennaio Solennità di San Geminiano: programma, orari e disposizioni per le celebrazioni liturgiche

Sabato 30 gennaio

Celebrazione dei Primi Vespri Pontificali  ore 17.15

  • Messa Vespertina della Vigilia ore 18 -Presiederà la celebrazione  mons. Giuliano Gazzetti, vicario generale dell’Arcidiocesi.
  • Veglia di preghiera con l’Ufficio delle Letture  ore 21 – Mons. Erio Castellucci presiederà la celebrazione. Mons. Giacomo Morandi, Sottosegretario della Congregazione della Dottrina della fede, commenterà i testi sacri. La veglia inizierà con il “rito della luce” e si concluderà con l’antichissimo inno di lode “Te Deum” presso la tomba di san Geminiano.

 

Domenica 31 gennaio

Messe alle ore 7 – 8 – 9 – 11 – 18

  • Messa ore 7 – Sarà presieduta dal parroco  mons. Orfeo Cavallini
  • Messa Episcopale ore 8 – presieduta da mons. Enrico Solmi, vescovo di Parma.
  • Messa Episcopale ore 9 – presieduta da mons. Lino Pizzi,  vescovo di Forlì-Bertinoro
  • Solenne Messa Pontificale  ore 11 – inizierà la celebrazione, preceduta dalla Benedizione alla città ed all’arcidiocesi con la reliquia del braccio di san Geminiano, presieduta da mons. Arcivescovo – Abate. Concelebreranno altri Arcivescovi e Vescovi, i Vicari episcopali, i Canonici di Modena, il priore del Capitolo Abbaziale, un rappresentante della Collegiata di Finale Emilia, i Vicari foranei, i sacerdoti del Seminario e il segretario dei religiosi. Il servizio liturgico è affidato ai seminaristi e quello di accoglienza e d’ordine al personale dell’Unitalsi.

Venerazione delle reliquie di san Geminiano  ore 14 – 17

In questo orario, meglio che al mattino durante la celebrazione delle SS. Messe, è possibile venerare la tomba del santo patrono, come pure la reliquia del braccio di san Geminiano.

 

Secondi Vespri Pontificali  ore 17.15

Mons. Erio Castellucci presiede il canto dei Secondi Vespri

  • Messa Vespertina ore 18 – E. mons. Giuseppe Verucchi, arcivescovo emerito di Ravenna-Cervia, con assistenza di mons. Arcivescovo-Abate, presiede l’ultima celebrazione eucaristica nella giornata dedicata al santo dei modenesi.

 

30 e 31 gennaio

Dono dell’indulgenza plenaria

Si ricorda che visitando la Cattedrale in devoto pellegrinaggio, come durante l’Anno Santo, dal pomeriggio del 30 a tutto il 31 gennaio, e compiendo le opere prescritte (Confessione e Comunione – anche in altro giorno vicino – professione di fede, Padre Nostro, preghiera mariana e preghiera per il Santo Padre), si può ottenere l’indulgenza plenaria.

Le spoglie del santo patrono saranno aperte per la venerazione dei fedeli  da l pomeriggio  di sabato 23 gennaio alla mattina di sabato 6 febbraio.

 


Duomo-Modena-smallIl 31 gennaio Musei del Duomo gratuiti, ad orario continuato

Il 31 gennaio, in occasione della Festa del Santo Patrono Geminiano, i Musei del Duomo aprono le porte gratuitamente e ad orario continuato dalle ore 9.30 alle 18.30, per permettere di ammirare le splendide opere d’arte provenienti dal tesoro della Cattedrale. Saranno visibili il raro e prezioso altarolo portatile del XII secolo (secondo gli ultimi studi, il primo reliquiario del braccio del Patrono), la statua in rame del Santo datata 1376 (la copia è visibile all’esterno del Duomo, sopra la Porta Regia), le monete e le crocette altomedievali rinvenute nel sepolcro del Patrono, oltre a codici miniati, dipinti, oreficerie, arazzi, paramenti sacri dal XII al XIX secolo.

Per maggiori informazioni si può scrivere una mail a museidelduomo@libero.it.