Al via la Stagione 2014/2015 del Teatro Ermanno Fabbri: il sipario si alza martedì 11 novembre alle ore 21.00 con ‘La fondazione’ del grande poeta romagnolo Raffaello Baldini. Ivano Marescotti propone qui una delle sue interpretazioni più intense, sospesa tra nevrosi e assenze, creata sotto la direzione di un regista sensibile come Valerio Binasco.
La fondazione è il quarto monologo teatrale di Baldini: i tre precedenti erano nati per sollecitazione di Ivano Marescotti il quale racconta di come un giorno, lo scrittore, poco prima di morire, a sorpresa gli consegnò il plico della Fondazione dicendogli: «Fanne quello che credi».E l’attore onora questo prezioso lascito con un’interpretazione che spazia dal comico al tragico, del bizzarro personaggio che colleziona ossessivamente i più assurdi oggetti del passato e coltiva l’idea di dar vita a una Fondazione che tenga viva la memoria delle cose più sfuggenti e dei pensieri.
Un personaggio splendidamente velleitario e a modo suo eroico, che cerca così di imbrigliare la vita (e la morte) nel suo delirio apparentemente bislacco, ma profondissimo. «La fondazione – afferma Ivano Marescotti – parla di un uomo che nella sua vita non riesce a buttare via nulla. Tiene da conto tutto, perfino le cartine che avvolgono le arance. La moglie lo ha mollato ma lui preferisce vivere tra la sua “roba”. Perché? Perché quella “roba” non rappresenta la sua vita, quella roba “è” la sua vita stessa. E quando quella “spazzatura” verrà buttata, anche lui seguirà la stessa sorte. Uno spettacolo comico solo perché spesso e fortunatamente, riusciamo anche a ridere di noi stessi, perché, come disse Leo Longanesi, “i difetti degli altri somigliano troppo ai nostri”».
«Ho un doppio privilegio in questo spettacolo – scrive il regista Valerio Binasco –, quello di lavorare con due grandi artisti come Baldini e Marescotti, una coppia d’arte che viaggia insieme da molti anni, “scopritori” l’uno dell’altro, con un’intesa intima e inafferrabile». Il testo di Baldini, secondo Binasco, ha una grande spinta che viene da lontano, da Kafka e Bernhard, e ha permesso di affrontare la scena in modo “tormentosamente metaforico ma anche realistico”. Nel corso delle prove, racconta ancora il regista, è successo qualcosa di sorprendente: «Tra noi c’era una creatura nuova, una strana fusione tra Marescotti e Baldini nelle sue Note – ed era il Personaggio. Questo Personaggio Senza Nome è un uomo di struggente tenerezza. Da subito ci ha conquistati tutti. Un bel giorno è arrivato, si è sistemato dentro alla voce di Ivano, dentro al suo sguardo, ed era come se fosse sempre stato lì, con noi. Una presenza fortissima, ma gentile come un ricordo. Questa persona è quanto di più ‘vivo’ ci possa essere oggi in un teatro, eppure è anche lontana come un ricordo. Aleggia una nostalgia assurda nella poesia di Baldini, ed è il ricordo di qualcosa che non c’è mai stato. Ovvero dell’innocenza perduta del mondo».