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Centenario Dossetti, oggi nella Sala del Tricolore a Reggio Emilia l’incontro “Dossetti e la dimensione città”

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Don-Giuseppe-DossettiDossetti e la dimensione città è stato il tema della lezione svolta oggi pomeriggio nella Sala del Tricolore di Reggio Emilia, nell’ambito delle Celebrazioni per il centenario ella nascita di Giuseppe Dossetti, dal sindaco di Reggio Graziano Delrio, da quello di Bologna Virginio Merola e dal politologo Luigi Pedrazzi.

L’incontro reggiano si inseriva nel ciclo “Lezioni del Centenario – Le città di Dossetti”, che ha coinvolto oggi anche Bologna, Modena, Genova e Torino, città appunto legate alla vita del padre costituente, giurista, sacerdote e monaco cattolico, che a Reggio e Cavriago ha vissuto gli anni dell’infanzia, della giovinezza, della Resistenza antifascista e della prima formazione intellettuale, spirituale e politica, restando profondamente legato e in contatto con la comunità reggiana per tutta la sua vita. La Sala del Tricolore, infatti, ha un valore biografico per Dossetti, che la frequentò dal 1946 al ’51, come consigliere comunale nella prima consigliatura dopo la Liberazione.

DELRIO – “Era un dovere ospitare questa riflessione su Giuseppe Dossetti e la dimensione città nella sala civica di Reggio Emilia – ha detto il sindaco Delrio – la Sala del Tricolore che ha ospitato Dossetti consigliere comunale, insieme a Nilde Iotti, una sala che ha visto i suoi passi politici in una delle sue città. Le città di Dossetti infatti sono tante. Cavriago, Reggio Emilia, Bologna e Gerusalemme sono secondo me le città di Dossetti, e non Roma”.

Cavriago, l’“università della vita” come la defintì Dossetti al conferimento della cittadinanza onoraria, “frase che rimanda a un discorso molto più profondo”. Quando Dossetti parla di Cavriago, dove fu bambino e ragazzo, continua Delrio, “parla di comunità, di capacita di vivere la vita sotto lo sguardo degli altri, del diventare persona adulta grazie al sistema di relazioni profonde. Di una comunità non fatta delle stesse idee, ma di incontri, giudizi e interrogativi reciproci, quindi di vita di paese e nello stesso tempo di uno sguardo aperto sul mondo”.

“Questo tema della dimensione comunitaria, della capacità di pensare la città come palestra ideale per lo sviluppo delle relazioni sociali e umane e della persona umana – ha continuato Delrio – è un pezzo importante dell’analisi di Dossetti nel Libro bianco, che scrive quando nel 1956 si candida a sindaco di Bologna”. Un programma per il quale coinvolse il sociologo Achille Ardigò, promuovendo un’analisi della situazione sociale di quel tempo: “Quello che rimproverava a Dozza e alla politica del tempo era di non lasicarsi interrogare veramente, sulla base dei dati e dei fatti, dalle questioni che la città poneva”.

“Rileggendo il Libro bianco – ha continuato Delrio – si ritrova molto forte il desiderio di un pensiero politico che sappia dare opportunità di partecipazione e vita democratica ai cittadini, il desiderio di avre una biblioteca di quartiere, di un pensiero urbanistico avanzato e non vittima del bisogno di case, ma che sapesse creare luoghi di vita di relazione appropriata. Il tema della partecipazione, di offrire incontri alle persone, è stato uno dei temi che che più ha caratterizzato il suo pensiero”.

“Trattare l’uomo come l’uomo, come disse a Cavriago, guardare alle persone non come individui separati, ma accomunati dallo stesso destino, vivere la città come relazione – ha aggiunto il sindaco – è inoltre il centro di quella visione personalistica e comunitaria che ha portato a conseguenze sia nelle proposte per Bologna, sia nell’azione che ha svolto per la Costituzione, che è attraversata dal personalismo comunitario”.

“Certamente anche noi amministratori di oggi – ha affermato il sindaco di Reggio Emilia – possiamo trarre l’indicazione di un metodo che si appoggia alla conoscenza precisa, alla capacità di vedere le esigenze concrete e di svolgere un’analisi profonda”. Tra i temi più attuali su cui il pensiero di Dossetti spinge ad interrogarsi, Delrio ha citato le migrazioni globali e le nuove forme di partecipazione attraverso i social.

“Dossetti non ci chiederebbe rievocazioni, ma di guardare la città con occhi moderni e puliti, guardando il nostro tempo non il tempo passato, indagando le correnti che lo attraversano, provando a prevedere i problemi dei prossimi mesi, senza perdere di vista lo sguardo degli uomini e delle donne che ha incontrato nelle città, che fossero a Cavriago, Reggio, Bologna o Gerusalemme”.

MEROLA – Il sindaco Merola ha ripercorso i diversi e cruciali passaggi della vita di Dossetti a Bologna, dall’impegno di ricerca sulla Chiesa alla collaborazione con il cardinale arcivescovo Giacomo Lercaro alla candidatura a sindaco del capoluogo emiliano nel ’56: “Secondo Lercaro, che volle Dossetti candidato sindaco, allora Bologna era una città favorevole al Pci prevalentemente per l’assenza di una guida cattolica aperta ai problemi sociali e carismatica. Dossetti, pur non ritenendo fondata questa analisi, accettò per obbedienza questa candidatura. Divenuto capolista della Dc bolognese, impostò la sua azione su due direttrici: un programma strettamente politico-riformatore steso con un gruppo di tecnici e pubblicato come Libro bianco su Bologna; una campagna elettorale con una connotazione strettamente di sinistra, nella quale attaccò il Pci come partito in fondo moderato, rosa più che rosso, e rifiutando nello stesso tempo qualsiasi coordinamento con i partiti anticomunisti del centrodestra. Il risultato elettorale confermò la sua analisi: fu sconfitto e la maggioranza restò al Pci e al sindaco Giuseppe Dozza”.

“Tuttavia, con questa sconfitta – ha osservato Merola – Dossetti aveva raggiunto in un certo senso il suo obiettivo politico: dimostrare che era finita l’era della cristianità, che i cattolici erano ormai minoranza che dunque non aveva più senso parlare di una presenza politica in senso proprio cattolico e determinante nel quadro italiano”.

Nella campagna elettorale inoltre Dossetti “era riuscito a mobilitare una parte importante del mondo cattolico, soprattutto giovanile, che fino ad allora aveva scelto di stare alla finestra”. E in quegli stessi anni, inizia una “seconda stagione del Dozza sindaco. Si cercano temi di intesa, attenuando le asprezze della campagna elettorale e il terreno di intesa principale è quello della partecipazione. SI apre a Bologna il percorso che porta alla istituzione dei quartieri in accordo con la maggioranza del Consiglio comunale, compresa la Dc, quella Dc che proprio su ispirazione di Dossetti aveva fatto dei quartieri il cavallo di battaglia del proprio programma elettorale”.

Dopo l’esperienza del Concilio vaticano II, il ritorno a Bologna nel ’65, la riorganizzazione della Diocesi, la vita nella Comunità religiosa da lui fondata e la partenza per Gerico. Nell’86 il conferimento dell’onorificenza bolognese dell’Archiginnasio d’oro da parte del Comune e il breve ritorno alla vita pubblica nel ’94 dopo la vittoria elettorale di Berlusconi, con costituzione dei comitati per una difesa dei valori fondamentali espressi dalla nostra Costituzione.

“Possiamo dire – ha sottolineato il sindaco Merola – che la storia repubblicana di Bologna è stata attraversata dal pensiero e dalle azioni di Dossetti.

Attuali restano alcuni temi del suo pensiero: l’esigenza di unire le forze uscite dalla Resistenza in un comune progetto politico; la priorità da attribuire a un progetto politico riformatore rispetto alle alleanze, il primato del programma; la difesa della Costituzione come principio ordinatore da attuare nella costituzione di una moderna democrazia; l’idea di partecipazione come esercizio di una libertà responsabile per il bene comune”.

“Nell’ultima fase della vita Dossetti torna a misurarsi con il tema della città, fulcro e cuore del giovanile impegno politico con La Pira e Lazzati: il rapporto tra il cristiano e la realtà temporale nella città”.

Emergono alcune idee guida, in particolare dal discorso di Dossetti Eucarestia e città al Congresso eucaristico di Bologna: “L’autenticva laicità cristiana, che implica l’esercizio di un duplcie ‘diritto’, quello del credente ad annunciare la fede nella sua purezza e integrità, ma anche quello del non credente di ‘sentirsi esporre il linguaggio cristiano puro e integro’. Ciò impone alle comunità cristiane il compito non facile di urificare con attenzione il suo messaggio, rimuovendo ogni artificioso ostacolo al dialogo tra credenti e non credenti”.

Altro tema sottolineato dal sindaco di Bologna, “è la messa in guardia contro ogni tenenza alla ‘mondanizzazione della fede’: nessuna città degli uomini, per quanto ordinata, potrà mai attuare l’ideale del Regno di Dio, in questo senso Dossetti ricorda che in ogni città il cristiano è sempre ‘uno sraniero’”.

E terza idea importante “è il rifiuto di un modello propriamente cristiano di città: la fede rivelata non può essere asservita a un qualsiasi progetto storico”.

La città di Dossetti “diventa crocevia emblematico delle vicende della storia della famiglia umana, città dell’uomo, luogo di accogflienza, condivisione, solidarietà e crescita comune, luogo di esercizio responsabile della libertà, ma anche, al contrario, luogo di sopraffazione, affanno, solitudine, frammentazione, spersonalizzazione. Dunque la città si costruisce e cresce come città dell’uomo se si costruisce e cresce secondo il disegno di Dio sull’uomo e sulla storia: la dimensione della città coclude per tanto il viaggio intellettuale e spirituale di Giuseppe Dossetti. Poche città come Bologna possono testimoniare come sia importante il lascito di Dossetti, come sia esigente e impegnativo ma proprio per questo così capace di richiamarci all’idea centrale di città delle persone”.

PEDRAZZI – Ricco di riferimenti e aneddoti biografici, l’intervento del professor Pedrazzi, amico e collaboratore di una vita di Dossetti.

“Nel 1947, quando si fece la Costituzione – ha detto fra l’altro Pedrazzi – i partiti erano migliori, perché venivano prima della guerra fredda, non erano schierati in base ai due Blocchi. Dossetti, nel ’47 come in seguito, aveva una visione diversa dalla contrapposizione in Blocchi: una visione europea e attenta al Terzo mondo. Nel 1994, quando si profila la volontà di alcune parti politiche di porre mano alla Costituzione, i partiti reduci dalla guerra fredda, erano molto peggiori rispetto al ’47: come era possibile dunque rivedere la Carta, fare una Costituzione migliore. Più che un conservatore o un rivoluzionario, Dossetti fu un testimone e sostenitore dell’esigenza di innovazione sia quando definì cosa doveva essere la Repubblica, sia nel suo lavoro alla Costituente, sia molti anni dopo nel ’94 quando difese la Costituzione da una gestione al ribasso della stessa da parte di partiti: era lo stesso Dossetti”.

“Dossetti volle la Repubblica, non in modo ideologico, ma perché sul piano storico in Italia se non c’era un rinnovamento nelle istituzioni, si correva nel dopoguerra il rischio di rimanere in qualche modo legati al fascismo. In questo senso, la Repubblica era una tesi sintetica e molto forte, che Dossetti adottò e propose con efficacia.

Era innovatore e radicale, nel senso del rigore. Anche per questo non considerava i comunisti abbastanza di sinistra, ma riteneva – ha concluso Pedrazzi – che fosse possibile e da ricercare un’alleanza con i comunisti sperando in una nuova democrazia, che unisse le forze antifasciste e antinaziste”.