Si abbassa la soglia dell’età del rischio e si affacciano anche i maschi in una patologia prima quasi del tutto al femminile: i disordini del comportamento alimentare, che possono sfociare in diverse patologie, le più gravi delle quali sono anoressia e bulimia, coinvolgono l’1,5% della popolazione adolescente italiana, secondo dati del Ministero Salute; numeri che coincidono con quelli rilevati in altri paesi a sviluppo avanzato.
Le cifre disaggregate dicono che dallo 0,2% allo 0,8% degli adolescenti soffre di anoressia, dall’1,5% al 3% sono bulimici. Ma si tratta solo dei casi noti e portati all’attenzione del medico. C’é purtroppo un sommerso, che gli esperti stimano pari a circa quattro volte questi numeri: ragazzi e ragazze, a volte molto giovani – 13/14 anni – che sono portatori di una sindrome subclinica che deve essere affrontata subito, prima che degeneri in una patologia conclamata. Di questo tema si parlerà tra gli altri a Bologna, dall’ 1 al 4 giugno, in occasione del 14/o Congresso della Società italiana di Neuropsicofarmacologia. Sulle cause gli esperti tendono a dare minore importanza alla pressione dei mass media, vale a dire l’imitazione di modelli offerti dalla ‘fiction’, per dare invece risalto al peso della realtà quotidiana, all’azione negativa della scadente qualità dei rapporti familiari, quando le famiglie sono poco o troppo presenti nella vita dei figli. Danni che si riflettono anche all’interno dell’ambiente scolastico e che provocano negli adolescenti una sottovalutazione dei propri mezzi, una scarsa stima di sé. Ma gioca anche la spinta a estremizzare le componenti esteriori della propria esperienza di vita, lasciandosi andare privi di un ancoraggio interiore, e quindi finendo con il mettere, consapevolmente o no, il proprio corpo e la propria immagine al centro di un confronto col mondo esterno che spesso si rivela autodemolitorio. Accanto a ciò, è sempre più riconosciuta l’esistenza di una vulnerabilità biologica, con una componente di natura verosimilmente genetica.
I rimedi gli scienziati li stanno cercando nel sistema neuroormonale del paziente. Si tratta di capire quali fattori intervengono nella regolazione dei meccanismi stimolatori del senso di fame e di sazietà messi fuori uso dall’insorgere della patologia. Mentre per fronteggiare la bulimia è ormai consolidato come un valido sostegno l’uso dei regolatori della serotonina, manca tuttora un farmaco in grado di contrastare efficacemente gli effetti degenerativi che l’ anoressia porta con sé, come ad esempio le disfunzioni cognitive e l’affievolimento di altre importanti funzioni cerebrali. Alla messa a punto di nuove terapie farmacologiche si sta lavorando, ma per ora la cura dell’anoressia rimane affidata ancora pressoché esclusivamente all’azione del ‘counseling’ nutrizionale e familiare e della psicoterapia, peraltro con risultati importanti: le patologie da disordini del comportamento alimentare, oggi, sono risolte favorevolmente per circa i due terzi dei casi trattati; anche se resta un 20% di mortalità, ma che riguarda soprattutto casi non trattati. E anche se non si è risolto del tutto il problema del rischio di eventuali ricadute.