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Da Garibaldi ai Teddy Boys, l’Osservatore Romano celebra i blue jeans


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Questa volta a finire sulla prima pagina dell’Osservatore Romano è nientemeno che Giuseppe Garibaldi ritratto in camicia rossa e blue jeans in una stampa d’epoca. L’eroe dei due mondi, che non aveva particolari simpatie per il papato, è evocato come personalità ‘anticonformista’ in un lungo articolo che il quotidiano della Santa Sede dedica ai blue jeans dal titolo inequivocabile: ‘Da Garibaldi a Gianni Agnelli passando per i 50 anni dei teddy boys’.Nel pezzo viene rievocata la stagione, fra la fine dei ’50 e i ’60 del secolo scorso, quando la moda dei blue jeans dilagò nella penisola insieme al rock, al jazz, alle bande giovanili tipo teddy boys e a varie forme di trasgressione che inquietarono la società italiana dell’epoca almeno fino a quando l’allora giovane avvocato Agnelli, non comparve in pubblico in jeans e sdoganò definitivamente un indumento destinato a superare ogni confine culturale e sociale. L’Osservatore Romano continua dunque in una marcia di riavvicinamento fra Chiesa e cultura popolare contemporanea giocando a tutto campo: dall’ultimo film di Harry Potter, promosso, al ricordo appassionato di Micheal Jackson alla recensione negativa ma tutto sommato blanda dell’ultimo film tratto da Dan Brown, ‘Angeli e demoni’. Ora tocca ai jeans. ”Oggi non sono in molti a ricordare – scrive il quotidiano vaticano – che cinquant’anni fa, e per un certo tempo, i blue jeans furono criminalizzati come indumento maledetto quasi al pari di altre sinistre tenute, capi di abbigliamento e accessori militari o paramilitari, che persistevano nel ricordo fresco di chi aveva sofferto più di altri gli squallidi fasti delle dittature e gli orrori della guerra”.”Dall’agosto del 1959 in Italia, in seguito ad alcune vicende di cronaca nera e di devianza giovanile (a Ostia e a Bracciano) – prosegue l’articolo – il nome dei teddy boys aveva cominciato a circolare con preoccupante frequenza a indicare bande di ragazzi che avevano preso a imitare quella subcultura giovanile estetizzante sorta l’anno precedente a Londra”. ”Ben presto – si legge ancora – il fenomeno assunse connotati devianti e fortemente anticonformistici. E i blue jeans furono componente esteriore immancabile nella mise di questi ragazzotti suggestionati dai modelli anglosassoni non solo d’oltremanica, ma anche d’oltreoceano. Poi c’erano il cinema e la musica, il jazz anzitutto, e il nascente rock and roll, e c’erano la gioventù bruciata di James Dean e la voce intensa e l’andatura ancheggiante di Elvis Presley a fare il resto”.Quindi il richiamo è alla reazione della società un po’ chiusa e conformista dell’Italia che sta per entrare negli anni ’60. ”Per un certo tempo – continua – nelle scuole italiane il minaccioso paio di pantaloni fu rigorosamente proibito e la stampa d’ogni tendenza non mancò di sottolineare, con sfumature diverse, la pericolosità estrema del trittico costituito da flipper, juke-box e blue jeans che preparavano inesorabilmente la strada al bullismo e alle violenze di ogni sorta, fino a quando il giovane presidente della Fiat Gianni Agnelli si presentò in pubblico sfoggiando un paio di jeans, esaltandone la praticità e l’uso, non solo nei momenti più disimpegnati della giornata. Da allora cadde ogni preclusione, e in breve i blue jeans divennero uno degli indumenti più usati da grandi e piccini”.

 

Fonte: Adnkronos