Si chiude con rese molto altalenanti, e un calo percentuale medio oltre il 20%, la raccolta del grano in Emilia Romagna. La siccità e le alte temperature hanno determinato differenze produttive sostanziali da zona a zona, a macchia di leopardo, una riduzione complessiva del peso specifico e per contro un elevato contenuto proteico. C’è chi ha raccolto 5 tonnellate ad ettaro (o addirittura meno) nelle aree dove è piovuto poco, 45-60 millimetri circa, dal mese di aprile alla trebbiatura – in particolare in Romagna e nelle province di Bologna, Modena e Ferrara -, e chi invece ha portato a casa produzioni intorno alle 6-7 tonnellate ad ettaro (con punte anche superiori), potendo contare nello stesso periodo su 110-140 millimetri di pioggia e anche di più.
Guarda il bicchiere mezzo pieno Lorenzo Furini responsabile della sezione cereali di Confagricoltura Emilia Romagna: «La resa si è assestata complessivamente sulle 5,5 tonnellate ad ettaro per il duro e sulle 6,2 tonnellate ad ettaro per il tenero, rispecchiando a grandi linee la media degli ultimi 10 anni in Emilia-Romagna. Tuttavia, ciò che sorprende e ci impone uno sguardo positivo – osserva l’imprenditore cerealicolo – è la redditività della coltura».
L’analisi di Furini parte dalla media delle quotazioni di grano negli ultimi 10 anni, ossia 242,71 euro a tonnellata per il tenero di forza e di 289,51 euro a tonnellata per il duro. «Quest’anno, solo nel primo semestre, il prezzo è salito mediamente a 409,62 euro/t per il tenero di forza e 529,80 euro/t per il duro. Anche adesso, con l’apertura della Borsa Merci di Bologna, partiamo avvantaggiati: 410,50 euro/t per il tenero di forza e 544,40 euro/t per il duro ossia un incremento del 70% per il tenero e dell’88% per il duro rispetto alla quotazione media degli ultimi 10 anni: valori record».
Il grano si dimostra pertanto una coltura vincente malgrado la crisi climatica e l’effetto-rincari dei costi di produzione, un cereale sul quale bisogna continuare a investire anche aumentando le superfici coltivate in Emilia-Romagna che con 250 mila ettari (di cui 85 mila a duro), è la seconda regione-granaio dopo la Puglia.
Bene anche l’equilibrio raggiunto da Piacenza a Rimini tra gli ettari coltivati a tenero e quelli a duro. «Negli ultimi due anni il duro è cresciuto del 60% rallentando in alcuni areali la corsa del tenero, soprattutto in Romagna e nel Ferrarese, per rispondere meglio – conclude il presidente dei produttori di cereali di Confagricoltura Emilia Romagna – alle crescenti esigenze di filiere regionali d’eccellenza come quella della pasta. Occorre aprirsi sempre più ai contratti di filiera, un concetto chiave per le commodity agricole soprattutto in Italia».