Anche in Emilia-Romagna è difficile conciliare lavoro e famiglia, soprattutto dopo essere diventati genitori. L’assenza di parenti che possano dare una mano, i costi di asilo nido e baby sitter, gli orari di lavoro e la distanza dal luogo di lavoro spingono molte persone a lasciare l’occupazione.
Lo conferma la relazione annuale 2019 sulle convalide delle dimissioni e risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri, presentata dall’Ispettorato nazionale del lavoro e analizzata dalla Cisl Emilia Centrale. L’anno scorso in Italia sono state 51.558 (+4 per cento rispetto al 2018) le convalide delle dimissioni e risoluzioni consensuali ai sensi dell’art. 55 del dlgs. n. 151/2001 (Testo unico sul sostegno e tutela alla maternità e paternità). In Emilia-Romagna sono state registrate 5.447 convalide, 263 in più rispetto al 2018 (+5 per cento).
«Le dimissioni entro i tre anni del bambino sono protette, cioè sottoposte al vaglio degli ispettori dei lavoro che verificano la volontarietà della decisione della lavoratrice o lavoratore – spiega Rosamaria Papaleo, componente della segretaria Cisl Emila Centrale – Questo permette di contrastare il fenomeno delle dimissioni in “bianco” delle donne, un tempo molto più diffuso, anche perché non tutte le lavoratrici erano adeguatamente informare sui loro diritti. Detto questo, però, è chiaro che se le convalide aumentano significa che le politiche, sia pubbliche che aziendali, non sempre permettono ai genitori di dedicarsi serenamente al lavoro e alla famiglia. Quindi bisogna cambiarle, anche attraverso la contrattazione di secondo livello».
Dall’analisi dei dati dell’Ispettorato nazionale del lavoro emerge che nel 73 per cento dei casi a rinunciare al posto sono le lavoratrici madri, concentrate nella fascia di età 29-44 anni; lavorano soprattutto nel terziario e nell’89 per cento dei casi hanno un’anzianità di servizio da zero a dieci anni.
A sorpresa, però, aumenta anche il numero dei padri che lasciano il lavoro dopo un figlio; nel 2019 in Emilia-Romagna sono stati 1.879 (+2,5 per cento rispetto all’anno precedente).
Una delle cause principali delle dimissioni è la difficoltà a conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze di cura della prole (35 per cento dei casi), l’assenza di parenti di supporto (27 per cento), elevati incidenza dei costi di assistenza al neonato (nido o baby sitter, 7 per cento), mancato accoglimento al nido (2 per cento). Tra le causali relative all’azienda della lavoratrice, prevale l’organizzazione e le condizioni di lavoro, difficilmente compatibili con la cura dei figli, e il mancato accoglimento delle richieste di part time o flessibilità.
«È assurdo constatare come la maternità, pur essendo tutelata dalla legge, rimanga una delle cause principali di allontanamento delle donne dal mondo del lavoro – dichiara Papaleo –
Noi della Cisl richiamiamo ancora una volta il Governo ad avere più coraggio nell’approntare strategie di rilancio del lavoro femminile, della maternità e soprattutto della condivisione della cura familiare ancora troppo sbilanciata sulle donne. Il Family Act della ministra Bonetti, approvato di recente dal Consiglio dei Ministri, rappresenta un buon punto di partenza, ma va necessariamente migliorato e attuato in tempi più rapidi, altrimenti si rischia di comprometterne l’efficacia.
Se vogliamo tutelare e proteggere il lavoro delle mamme lavoratrici e sostenere il desiderio di maternità delle coppie, occorre investire, da un lato, in servizi più adeguati alle esigenze delle famiglie; dall’altro lato, è necessario promuovere forme di organizzazione del lavoro più flessibili, soprattutto attraverso incentivi alla contrattazione, facendo in modo, sulla base anche dell’esperienza relativa al lavoro agile durante il periodo di lockdown, che la flessibilità riguardi tanto le lavoratrici quanto i lavoratori, anche nei momenti in cui bisogna conciliare l’attività lavorativa con le responsabilità genitoriali.
Utilizzare la flessibilità al solo scopo di aiutare le madri lavoratrici equivale a tenerle sempre più lontane dai luoghi di lavoro. Niente di più sbagliato», conclude la segretaria Cisl Emilia Centrale.