Home Appennino Reggiano Per non dimenticare Stefano e Giorgio, caduti nell’estate 1944

Per non dimenticare Stefano e Giorgio, caduti nell’estate 1944

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Martedì 23 giugno 2020, nella ricorrenza del 76°  della Liberazione dal nazismo e fascismo, il sindaco di Baiso Fabrizio Corti commemorerà il caduto partigiano sassolese Stefano “Nino” Piccinini. Appuntamento alle ore 20.15 presso il ponte del Carnione a Levizzano di Baiso (località Poggio del Bue) dove morì combattendo. Successivamente alle ore 20.45 il sindaco di Castellarano e Presidente della Provincia di Reggio Emilia Giorgio Zanni e il sindaco di Sassuolo Gian Francesco Menani commemoreranno il cittadino di Castellarano  Giorgio Fontana. Appuntamento a Sassuolo presso il muro dello Stadio “Ricci” in Piazza Risorgimento 47, dove il partigiano fu fucilato. Saranno presenti rappresentanze di ANPI- Baiso, Castellarano e Sassuolo a nome delle quali interverrà il responsabile di quest’ultima Maria Antonia Bertoni.

Nell’osservanza delle norme sul COVID-19, pur svolgendosi la cerimonia in un arco temporale breve,  chi vorrà assistere sostando all’aperto in località Poggio del Bue  di Baiso o nella piazzetta dello Stadio dovrà osservare il necessario distanziamento sociale  e indossare i dispositivi di sicurezza.

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Erano due ragazzi Stefano e Giorgio, saliti in montagna  per non rispondere ai bandi della Repubblica di Salò.

Stefano (immagine a sinistra), familiarmente “Nino”, Piccinini era sassolese, abitava in via Fenuzzi e aveva 18 anni. Un suo congiunto Piccinini Triffone aveva combattuto nel 1848 per l’indipendenza d’Italia, partecipando al processo risorgimentale. Suo padre Francesco era stato consigliere comunale tra il 1914 e il 1918 prima che il fascismo cancellasse le libertà. La madre Medici Irma era vedova e Stefano frequentava la IV Istituto tecnico comunale a Villa Segrè. Abbiamo la sua foto scolastica e un’immagine in posa con i suoi compagni di calcio. Suo fratello Pietro appassionato di fotografia ci  ha lasciato immagini dei carri armati brasiliani che entrano a Sassuolo e dei giorni della liberazione. Ma Nino non potè  gioire quel giorno di aprile col fratello e coi suoi amici partigiani perché era morto un anno prima nell’estate del 1944.

Giorgio (a destra) “Geppo” Fontana aveva compiuto 19 anni; di Castellarano, serio e laborioso, aveva lavorato da garzone e a Roteglia lo conoscevano bene e agghiacciarono quando lo videro passare scalzo e legato al cofano del sidecar che lo portava al luogo di tortura a Palazzo Ducale a Sassuolo, dove la madre straziata si recò. Testimoni dicono che anche il padre assistette al lugubre passaggio da Castellarano del suo ragazzo.

Sui fatti abbiamo la testimonianza diretta del partigiano Vittorio Roncaglia, che era parte del manipolo: «La mattina del 23 giugno –ricordo che c’erano i covoni di grano nei campi – io, Nino Piccinini, Giorgio Fontana e uno che era stato nei pontieri e diceva di essere pratico di esplosivi, dalla base di Cerredolo fummo mandati a minare un ponticello sulla Radici, all’altezza del bivio per Baiso e Levizzano. Ci portarono giù con una macchina e sarebbero tornati a prenderci verso sera.

L’ex militare iniziò a minare il ponte mentre noi ci eravamo messi in posizione da dominare la strada che veniva su da Sassuolo. Sono poi capitati lì dei borghesi, con i quali ci siamo messi a parlare. Dopo un po’, prima di mezzogiorno, abbiamo visto alzarsi una nuvola di polvere sulla strada bianca e poi intravisto un sidecar tedesco. Piccinini si è spostato verso il Secchia, io sono rimasto nella parte alta, vicino a una grossa siepe; la gente che era lì con noi è scappata verso il fiume.

Quando ci siamo accorti anche della macchina che seguiva il sidecar era troppo tardi. Piccinini ha cominciato a sparare con il moschetto ma i tedeschi l’hanno centrato subito con una raffica di mitraglia. Io, d’istinto, sono saltato dentro alla siepe fitta e piena di spine e sono rimasto lì tutto il giorno.

I tedeschi hanno catturato Fontana  e poi rovistato tutt’intorno, hanno interrogato gli abitanti di una casa lì vicino, (li sentivo parlare) e hanno anche sparato contro quei borghesi che stavano scappando verso il Secchia. Mi sono passati vicino più volte, anche a un metro o due di distanza… Solo quando ha fatto notte sono uscito dalla siepe e lungo il Secchia mi sono avviato verso Cerredolo; sulla strada mi sono incontrato con i nostri che stavano venendo in giù con le camionette».

Il  capo del CLN sassolese Ottavio Tassi così nelle sue Memorie  continua il racconto:

«Al comando tedesco di Sassuolo, posto nel Palazzo Ducale, il Fontana era sottoposto ad un duro ma affrettato interrogatorio.

Dal rapporto fattomi da un nostro informatore, mi risultò che il Fontana, palesando una insospettata sicurezza di carattere, quale possono avere solamente gli eroi, oppose alle domande tedesche il più assoluto mutismo, sopportando con stoicismo ammirevole insulti e percosse.

Esasperati dal contegno del partigiano, i carnefici decisero di fucilarlo immediatamente.

Dando un’ennesima dimostrazione del loro cinismo, a Mons. Virgilio Franzelli, presentatosi al Comando tedesco per ottenere di poter assistere il condannato veniva risposto che «non ve n’era bisogno poiché il Fontana non sarebbe stato fucilato». Solamente  a 15 minuti da tale risposta, cioè alle 10 e 15, il Fontana, calmo, sereno, trasfigurato nello sguardo dalla luce che emana dalla certezza di sacrificarsi per qualche cosa di più grande e di giusto, scortato da una selva di baionette, attraversava il paese seguendo l’itinerario: Via Rocca, Piazza Grande, Via Battisti, Piazza Garibaldi e Via Mazzini e si arrestava di fronte al campo sportivo».

 

 

Per ANPI-Sassuolo

Maria Antonia Bertoni