Continuano con successo gli appuntamenti della stagione teatrale 2015-2016 del Boiardo di Scandiano tra prosa, lirica, teatro di narrazione, musica, un palinsesto con proposte diverse e diversificate per andare incontro ai gusti del vasto pubblico.
Giovedì 17 dicembre alle ore 21 andrà in scena uno dei grandi classici del teatro di prosa italiano, “Il Fu Mattia Pascal”, opera esemplare di Luigi Pirandello, che vede la regia di Tato Russo e sul palco la presenza di Renato De Rienzo, Marina Lorenzi, Giuseppe Mastrocinque, Adriana Ortolani, Salvatore Esposito, Carmen Pommella, Francesco Ruotolo, Caterina Scalaprice, Massimo Sorrentino e Lorenzo Venturini. Le scene dono di Tony Di Ronza, i costumi di Giusi Giustino e le musiche di Alessio Vlad.
Tato Russo trasforma in dramma il capolavoro della narrativa di Pirandello, percorso non facile dare una versione scenica ad un’opera che lo stesso autore non pensò mai di fare. A maggior ragione si deve quindi riconoscere il successo dell’impostazione drammaturgica, registica e scenica elaborata da Tato Russo. La versione teatrale resta assai fedele nel concertato dialogico al testo del romanzo. Nel montaggio drammaturgico, con la tecnica del flash back, Tato Russo – mantenendo i dialoghi piacevoli, essenziali, senza preziosismi letterari – rende alla narrazione una fluidità e un’immediatezza sorprendenti.
Ed ora la storia in breve di Mattia Pascal che, sotto il peso di dissidi familiari, debiti e di un amore negato, lascia la casa e la famiglia, fugge a Montecarlo dove un colpo di fortuna lo rende ricco. Ma quando sta per ritornare, legge la notizia che, nel suo paese, uno sconosciuto annegato in una roggia è stato identificato “frettolosamente” dai familiari per lui stesso. La notizia lo scuote, lo sconcerta ma alla fine gli apre nuovi orizzonti. Si sente finalmente libero, senza nome, senza passato. Prende l’identità fittizia di Adriano Meis, si trasferisce a Roma in una piccola pensione dove, dopo poco tempo si innamora della giovane proprietaria. Tutto sembra andare nel verso giusto, ma una misteriosa cospirazione lo obbliga a fuggire. Capisce l’impossibilità di vivere fuori dalle leggi e dalle convenzioni che gli uomini si sono dati e scopre che fare il morto non è una bella professione. Decide quindi di farla finita anche con la nuova identità, simulando il suicidio di Adriano Meis nelle acque del Tevere. Non gli rimane che tornare nel paese d’origine dove scopre che la moglie si è risposata con un suo amico d’infanzia, ha avuto già una bambina e trascorre una vita tutto sommato serena. Arrivato con propositi di vendetta, Mattia Pascal ben presto li abbandona e si rende conto che d’ora in avanti non sarà altri che il fu Mattia Pascal. Non gli resta di andare ogni tanto al cimitero a portare un fiore sulla propria tomba.
Si tratta della storia di un uomo che si finge morto per essere vivo e libero, ma che alla fine rimane vittima delle convenzioni sociali che gli impediscono di amare, di difendersi, insomma di vivere. Lo spettacolo si sviluppa, in una sorta di autoanalisi, sulla falsariga di un “lungo ricordo-incubo del protagonista che monologa, evoca e tenta di esorcizzare i propri ricordi, rappresentandoseli”.
In questa pièce si pone il problema, caro a Pirandello, dell’identità e “dell’infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell’Universo… Storie di vermucci ormai, le nostre”. E’ il tema della finzione, delle maschere che l’uomo indossa consapevolmente nella società borghese. E non si tratta di una scelta libera e volontaria, ma necessaria per difendersi e sopravvivere. Da questa imposizione nasce l’aspetto grottesco e straniante della condizione dell’uomo che, a furia di mettere e togliere la maschera a seconda delle circostanze, alla fine non sa più quale è la maschera e quale il volto. D’altra parte Pirandello si è limitato a teorizzare un comportamento opportunistico che è nella natura dell’uomo, frutto dell’intelligenza. La vita dunque è tutta una falsificazione. L’ipocrisia e l’opportunismo esaltano la doppiezza dell’uomo che, cambiando la maschera si fa “Uno, nessuno, centomila”.
Leggiamo dalle note di regia: “Ho ridotto per la scena molti romanzi. Più d’ogni altro Il Mattia Pascal mi ha imposto un ritmo forsennato di rifacimenti e rielaborazioni. Un Pirandello troppo giovane, che in sé covava il germe di tutto quello che sarebbe stato, non era facile da ridurre a un tutt’uno omogeneo. Nel romanzo si rincorrono e si agitano infatti tutti i temi che saranno svolti con coerenza acquisita negli anni successivi e che formeranno poi la poetica costante del teatro pirandelliano: si sommano infatti le esperienze giovanili legate al mondo siciliano con le indagini piccolo-borghesi dei vari giuochi delle parti, per sovrapporsi poi alle tematiche del mito e alle intuizioni parafilosofiche dell’età di mezzo, tutto però con approssimazione e quasi come in una sorta di work in progress, di Pirandello in fieri. L’idea registica tuttavia ha concorso a tracciare la strada, ha favorito il percorso drammaturgico e ha dato unità di stile e di intenti alla messinscena. Ho immaginato un gran luogo dei ricordi, uno spazio vuoto di memoria, una perenne evocazione di fantasmi, un sorgere di anime vaganti che man mano prendevano i colori dei personaggi e degli interpreti. Per sottrazione, brandelli di memoria sono stati portati via, come frammenti di esistenza lontana.
E con mia sorpresa sono rimasto incantato da come la stessa impostazione scelta per il racconto drammatico svolgesse dall’interno delle sue ragioni la sua strada naturale.
Se la regia è e deve essere un progetto organizzativo di parole pensieri e opere, di uomini e tecniche di comunicazione, mi è parso questa volta che uno spirito guida aleggiasse sulle soluzioni e sulle suggestioni volta per volta ricreate: i fantasmi del racconto si sono incontrati certamente con i fantasmi del teatro e gli attori hanno incominciato a viaggiare con grande naturalezza tra personaggi e maschere.
Tutte le informazioni sono sul sito del teatro Boiardo www.cinemateatroboiardo.com