Cittadinanza bolognese onoraria per il Premio Nobel per la Pace nel 1991 Aung San Suu Kyi. La leader politica birmana riceve il riconoscimento – assegnatole il 15 settembre del 2008 – nella sala del Consiglio comunale, durante una assise straordinaria, dal sindaco, Virginio Merola. ”Il Consiglio comunale – è scritto nelle motivazioni – riconosce da tempo nella leader birmana, una delle più straordinarie figure del nostro tempo. Anche Bologna vuole offrirle la sua solidarietà”.
In ordine l’intervento tenuto dal Sindaco Virginio Merola, della Presidente Simona Lembi e dell’ex Presidente del Consiglio comunale, Gianni Sofri, nella seduta straordinaria del Consiglio comunale in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria a Aung San Suu Kyi:
“Grazie Signora Presidente. Un saluto affettuoso e di ringraziamento, alle cittadine e ai cittadini presenti, alle Signore Consigliere e ai Signori Consiglieri, ed a tutte le autorità civili e militari.
Cara Signora Aung San Suu Kyi, la sua presenza è un evento storico per la città di Bologna. Sono trascorsi cinque anni da quando, in quest’Aula, il Consiglio comunale decise di conferirle la Cittadinanza onoraria del Comune di Bologna. E lo fece in piena armonia, in quel momento le contrapposizioni politiche scomparvero e tutti i consiglieri comunali, con il loro voto unanime, La accolsero nella nostra comunità. Finalmente oggi cara Signora è qui, assieme a noi, per ritirare la Cittadinanza onoraria. Un evento che non pareva possibile fino a qualche tempo fa.
La Sua vita è una storia di coraggio e determinazione. La storia di una donna che lotta da anni affinché al suo popolo siano garantiti diritti umani e civili.
Nel 1998 Lei arrivò a Rangoon da Londra dove viveva, dopo avere saputo che Sua madre era stata ricoverata per un grave malore. Si trovò al centro di una situazione drammatica. Migliaia di studenti in agitazione, e con loro i giovani monaci buddisti che protestavano contro la dittatura di Ne Win, un generale che dopo avere effettuato un colpo di stato tiranneggia il Paese da anni. Acclamata dalle persone, Lei sentì di non potersi sottrarre a un impegno che molti le chiedono. Fondò un partito, la Lega nazionale per la democrazia, che rivendica libertà, diritti umani e democrazia. I generali reagirono arrestandola, impedendole di partecipare alle elezioni che essi stessi avevano promesso per il 1990. Con sorpresa e disappunto dei generali la Lega, pur privata della sua leader, ottenne l’81% dei voti. La giunta militare invalida le elezioni, arrestò e mandò in carcere i dirigenti del partito e i militanti. Sono fatti e gesti che parlano più di tante parole, ed era importante per me ricostruire questi fatti.
Dunque la Sua è una storia di coraggio e determinazione, forse un destino segnato da tempo fin dall’infanzia. Il padre di Aung San, guidò per anni la lotta per una Birmania indipendente. Nel 1947 un sicario inviato da un suo avversario politico uccise lui, suo fratello e sei dei suoi ministri, nella sala in cui Aung San presiedeva una riunione del governo provvisorio. Aung San aveva allora 33 anni, sua figlia Suu Kyi solo due. Un evento tragico che avrebbe dato il senso di una responsabilità da cui non potere sottrarsi.
Nel 1991 Aung San Suu Kyi ricevette il Premio Sakharov del Parlamento europeo e poi il Nobel per la Pace. Ha ritirato il primo qualche giorno fa, mentre il secondo fu ritirato da uno dei suoi figli. Questi premi ricordano e premiano una tenacia e una coerenza veramente rari nella lotta per la democrazia, per i diritti di donne e uomini, per le libertà. Lei si è dedicata a questa causa senza tregua, incurante dei rischi personali.
“Liberi dalla paura” è un libro, da Lei scritto, che riassume in maniera efficace il Suo pensiero: essere liberi dalla paura permette di battersi con coraggio e di affrontare ogni ostacolo. Lei Signora lo ha fatto, ed oggi è una donna libera, candidata alle elezioni per la presidenza della Repubblica, e dal giorno successivo alla Sua liberazione si batte per il rinnovamento del Suo Paese, da Lei tanto amato.
E’ per questo che mi viene spontaneo ricordare che Bologna ha nel suo stemma la parola libertà. E’ stato il primo Comune in Italia, nel 1257, a proclamare l’abolizione della schiavitù. La nostra Città è medaglia d’oro della Resistenza contro il nazifascimo e Medaglia d’Oro al Valor Civile.
Siamo dunque onorati che Aung San Suu Kyi sia una nostra cittadina. Da oggi, questa parola libertà, assume un significato ancora più profondo e autentico.
Cara Signora Daw Aung San Suu Kyi La ringraziamo per il messaggio di libertà e speranza che porta avanti da anni con il Suo esempio personale.
Noi continueremo a seguire le Sue lotte e, glielo auguriamo col cuore, i suoi successi, con l’attenzione e l’orgoglio di saperLa nostra cittadina”.
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“Signor Sindaco, colleghi di Giunta,Signore Consigliere, Signori Consiglieri, Autorità tutte, saluto con molto affetto la senatrice Soliani che tanto si è prodigata per questo incontro, insieme all’Onorevole Sandra Zampa, presidente dell’Associazione parlamentari amici della Birmania.
Per prima cosa desidero, insieme con tutti voi, salutare la Signora Aung San Suu Kyi e darle il benvenuto.
Nessuno di noi, ragionevolmente, avrebbe sperato di partecipare direttamente a questa cerimonia quando, nel 2008, il Consiglio comunale di Bologna condivise la scelta di conferirLe la cittadinanza onoraria e neppure nel 2009 quando invitammo il Governo del nostro Paese a svolgere una immediata azione sugli Organismi internazionali e sull’Unione Europea per porre in atto ogni azione volta a liberarla e ad impedire violazioni dei diritti umani in Birmania.
Credo che tutto ciò fosse difficilmente immaginabile anche solo un anno fa, quando accogliemmo con gioia la notizia della sua elezione in Parlamento.
Salutammo quella come una buona notizia anche per noi, anche se si è trattato di un test molto parziale (il rinnovo appena del 7% del totale dei seggi) perché Lei è una dei pochi leader asiatici a sostenere come sia possibile e indispensabile battersi in prima persona per la democrazia, in luoghi del mondo in cui si sostiene, invece, che i diritti non siano universali, ma frutto di una cultura occidentale e come tale difficilmente accoglibili.
Aung San Suu Kyi ha invece più’ volte affermato come la cultura della pace, della democrazia e dei diritti umani sia indivisibile, e lo ha affermato attraverso la cultura e le pratiche di non violenza. Ecco quindi spiegata la prima ragione per cui è per noi una grande gioia incontrarla oggi.
C’è poi una seconda ragione: il suo esempio aiuta anche noi a riconoscere le parti migliori delle nostre storie singole e collettive, invitandoci ad animarle ancora e a rinnovarle.
Per la nostra Città che più volte e in modi diversi nella sua storia si è battuta per affermare i principi e i valori della libertà e della democrazia, è sembrato doveroso riconoscere e sostenere il suo esempio.
Per la nostra Città, nota fuori da qui per le battaglie civili di affermazione della giustizia sociale, una Città che ha voluto coniugare crescita economica e coesione sociale attraverso la crescita delle istituzioni democratiche e investendo nei servizi pubblici, a partire dai bambini e dalle bambine, è sembrato naturale riconoscere e sostenere il suo esempio.
Potevamo riconoscere il suo impegno anche perché lo conoscevamo nella storia della nostra Città. Volevamo sostenerlo perché ci hanno insegnato che nessun diritto conquistato in una sola parte del mondo può dirsi tale e acquisito una volta per tutte, fino a quando anche tutte le altre parti potranno goderne a loro volta.
Vi è, infine, un’ultima questione che ci sta particolarmente a cuore. Tra le tante ragioni per cui esserLe grati c’è anche il fatto che il suo esempio di donna, tenacemente impegnata in prima persona a rappresentare la richiesta di democrazia e libertà del suo popolo, racconta molto e meglio di altro, di come, da tempo, un numero sempre più elevato di donne sia impegnato in politica, per la pace e per la democrazia, senza necessariamente delegare ad altri questo impegno.
Questo fatto che siano uomini e sempre più donne ad impegnarsi in questo senso ha a che fare con la qualità della democrazia, con le scelte che nei sistemi democratici si compiono e anche con un’altra questione da lei costantemente rivendicata e cioè, che sia un errore basare la democrazia su singole persone, piuttosto che su principi e valori sociali condivisi.
Signor Sindaco, cari Colleghi, a me spettato il compito, un grandissimo onore, di dare il benvenuto alla Sig.ra Aung San Suu Kyi all’interno della Sala del Consiglio comunale di Bologna, e in questa breve e intensa cerimonia darò immediatamente la parola al Professor Sofri, e successivamente al Sindaco di Bologna, prima di darla alla Sig.ra Aung San Suu Kyi.
Vorrei concludere dicendo che ho letto su un sito internet di recente che, a proposito del nostro Paese, Aung San Suu Kyi ha riservato parole molto affettuose. Si è detta felice di venire nel nostro Paese e “innamorata platonicamente dell’Italia”.
Che sia autentica o no questa citazione, certo questo è il sentimento che lei suscita in tutti noi”.
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“Gentili Signore e Signori, permettetemi di associarmi ai saluti e ai ringraziamenti, senza però tornare ad elencarli. Abbiamo poco tempo. Solo un ringraziamento personale, al Sindaco Merola, che mi ha dato l’opportunità di essere qui oggi.
Onorevole Signora, Daw Aung San Suu Kyi. Per un vecchio professore, che ha dedicato una buona parte della propria vita e della propria attività ad ascoltare le voci che venivano dall’Asia, e negli ultimi anni, con particolare trepidazione, soprattutto dalla Birmania, è un grande onore parlare qui, davanti e vicino a Lei. E’ occasione di commossa contentezza vederla qui libera, e impegnata a lavorare al futuro del Suo Paese. Ed è ancora motivo di una grande emozione.
Queste cose non valgono solo per me, ma per tutti i presenti, non a caso tanto numerosi.
Vorrei terminare questo breve preambolo con un’osservazione cui tengo molto, e che so essere cara anche a lei. In tutti questi lunghi anni (un ventennio, in pratica) di sofferenze, di disagi, di assenza di quella libertà che è il bene più prezioso delle donne e degli uomini, Lei non è mai stata sola. Non alludo tanto alla solidarietà internazionale, che pure è stata importante. Alludo alla vicinanza coraggiosa, fedele, affettuosa che milioni di birmani, uomini e donne, giovani e vecchi e bambini, mai Le hanno fatto mancare; sicché è impossibile non ricordare, accanto a Lei, anche queste persone di ogni condizione tra gli eroi di una delle più grandi lotte per la libertà degli ultimi decenni.
Ora dico subito di cosa non parlerò e di cosa parlerò. Non parlerò della Sua vita, anche se mi piacerebbe farlo perché è una grande vita. Essa è tuttavia sufficientemente nota nelle sue linee di fondo. E se io tentassi di entrare nei particolari, il tempo che abbiamo a disposizione non mi permetterebbe di andare oltre il primo capitolo.
Mi concentrerò quindi su un solo tema, che riassumerei così: che cosa ci insegna Aung San Suu Kyi, quali valori di carattere universale la sua esperienza ci trasmette, che siano capaci di modificare anche la nostra vita, il nostro modo di essere e di operare.
Ebbene, il primo di questi valori non è certo nuovo, perché ci richiama subito alla memoria una serie di personaggi e di vicende: Gandhi innanzitutto, Martin Luther King, il Nelson Mandela di un lungo periodo della sua vita, la resistenza civile opposta senz’armi da molti norvegesi agli invasori nazisti. E ancora, l’esperienza di Solidarnosc in Polonia, e i giovani della “primavera di Pechino” dell’89, che introdussero la nonviolenza in una cultura, quella cinese, nelle cui tradizioni era scarsamente presente (lo era, invece, nel buddismo tibetano, e non solo).
Nominare la nonviolenza induce a pensare subito alla grande figura di Gandhi. Ed è indubbio che Gandhi sia stato una delle fonti, per non dire uno dei maestri di Aung San Suu Kyi, che non a caso ne parla più volte nei suoi libri. E tuttavia, sarebbe del tutto errato operare una riduzione del pensiero e dell’esperienza di Aung San Suu Kyi a quelli di Gandhi.
Significherebbe dimenticare altre fonti, orientali (soprattutto buddiste) e occidentali, e sottovalutare l’originalità e l’autonomia del suo pensiero.
Per fare solo un esempio, assai poco di Gandhi si può trovare nelle idee di Aung San Suu Kyi sull’economia: tutta protesa, la leader birmana, a immaginare e costruire la modernizzazione del proprio paese, la sua uscita dall’arretratezza e dalla miseria; quanto Gandhi era stato invece attento a riscoprire modi tradizionali di produrre e di convivere.
Resta, ad accomunare l’esperienza di Aung San Suu Kyi non solo a Gandhi, ma ad altri grandi del nostro recente passato, l’insistenza sulla nonviolenza e sulla principale argomentazione che la sostiene: raggiungere il potere con le armi, la violenza, l’odio, comporta necessariamente assimilare se stessi, quando si sia raggiunto l’obiettivo, ai metodi di chi era stato il proprio nemico. Tanto più colpisce questa posizione così decisa della leader birmana quando si tengano presenti la ferocia di una repressione durata decenni e l’oltraggio che un intero popolo ha dovuto subire. Si può facilmente immaginare l’ancor più terribile destino che quel popolo avrebbe potuto avere se una predicazione instancabile non avesse limitato e trattenuto e impedito processi storici ancora più sanguinosi, dolorosamente noti alla storia dell’Asia.
Questo era un primo argomento. Ma ce n’è almeno un secondo per il quale il pensiero e l’opera di Aung San Suu Kyi rimarranno in noi. Negli anni in cui lei cominciava a esprimere le sue idee, e poi a cercare di applicarle, era in corso in Asia una discussione nella quale governanti oppressori e tirannici cercavano un alibi nella polemica contro democrazia e diritti dell’uomo: non valori universali, a parer loro, ma invenzioni dell’Occidente per l’Occidente, e solo per esso. Aung San Suu Kyi ha fatto invece sempre parte del gruppo eletto di pensatori asiatici e africani che hanno difeso l’universalità dei diritti umani, accanto al rispetto della diversità delle culture. Una lapidazione non è meno feroce se ne è vittima una donna saudita anziché una francese; né lo è la tortura, o un carcere in cui sia trattenuto per decenni un cinese anziché un polacco. Nel 1994 Aung San Suu Kyi scrisse un testo per l’UNESCO, e lo pubblicò poi nell’“International Herald Tribune”. Lo intitolò: “La cultura della democrazia e dei diritti dell’uomo è universale”. E a questo principio rimase sempre fedele. Per esempio, in uno dei saggi contenuti nel suo bellissimo libro “Libera dalla paura”, scrisse, con grande decisione: “Il principio che i Birmani non siano ancora pronti per godere degli stessi diritti e privilegi dei cittadini dei paesi democratici è offensivo”.
In realtà – non si può non constatarlo molto tristemente – la cultura che è avanzata di più negli ultimi anni è quella che tiene in carcere un altro premio Nobel per la Pace, il cinese Liu Xiabo, arrestato il giorno stesso dell’assegnazione del premio, condannato a 11 anni per le sue idee, e solo per le sue idee. Questo grande scrittore sadicamente perseguitato da una delle tante dittature che si aggirano nel mondo, ci fa capire che nessuna battaglia è mai vinta una volta per tutte.
Ma oggi siamo qui per festeggiare Daw Aung San Suu Kyi e la sua vittoria; per commuoverci per lei e con lei. Il lungo tempo dell’attesa ci appare in questo giorno almeno in parte risarcito dal fatto che la persona che finalmente incontriamo non ha solo un passato straordinario di donna coraggiosa e tenace, ma anche un grande futuro suo e del suo popolo. Per questo le facciamo tutti i nostri auguri. E le siamo grati per averci aiutato a tenere accesa anche noi la fiaccola della speranza”.