Piazza Giovanni Paolo II e la Basilica della Beata Vergine del Castello di Fiorano Modenese hanno costituito la giusta cornice per l’ultimo saluto a Don Adriano Fornari, che nel suo ministero sacerdotale è stato parroco a Saliceta San Giuliano e a Fiorano; assistente spirituale dell’Istituto Tommaso Pellegrini, dopo esserne stato direttore e figura di riferimento organizzativo e spirituale; impegnato da quarant’anni nella Caritas Diocesana.
L’arcivescovo di Modena Mons. Antonio Lanfranchi, il vescovo Mons. Giuseppe Verucchi, sessanta sacerdoti, più di mille persone hanno gremito la piazza. Soprattutto i suoi amati ragazzi dell’Istituto Pellegrini, gli ex allievi, le loro famiglie sono stati i protagonisti della cerimonia con grandi scritte: “Grazie di cuore dai tuoi figli”, “Sei il nostro angioletto. Non ti dimenticheremo”, “Come faremo senza di te. Sarai sempre nei nostri cuori”, con le magliette bianche e la scritta ‘Non ti dimenticheremo mai’, le rose rosse, le mani levate nel più toccante applauso silenzioso da riuscire riempire la piazza del suo fragoroso affetto.
Perfetta l’organizzazione, con cinquecento posti a sedere e giusta la scelta della piazza, sufficientemente spaziosa eppure raccolta. La salma di Don Adriano è giunta all’ingresso della piazza e da lì è stata scortata dai suoi ragazzi fino al sagrato, dove è stata posta per terra, con la stola e la Bibbia; dietro il suo ritratto, davanti un grande cartello: “Ciao Don, sarai sempre nei nostri cuori. I tuoi figli del Tommaso Pellegrini”.
La prima lettura è di San Paolo, dalla Lettera ai Corinzi, che si apre con “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna” e si conclude con “Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!.
Il Vangelo, tratto da Marco, racconta la guarigione di un sordomuto: “Gesù ordinò che non lo dicessero a nessuno. Ma quanto più lo proibiva, tanto più lo divulgavano, e pieni di ammirazione, dicevano: Egli ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti”.
L’arcivescovo Lanfranchi inizia la sua omelia affermando che i “preti con Don Adriano non dovrebbero morire mai, perché abbiamo sempre bisogno di loro. Sappiamo però che ci è presente nella comunione dei santi; intercede e sostiene il nostro cammino”. “Don Adriano ha risposto all’appello del Signore: ha fatto udire i sordi e parlare i muti, perché ha fatto uscire le parole dei cuori”. E lo ha definito l’apostolo dei sordi, perché li ha inseriti con pieni diritti nella società. E’ stato per 47 anni il sacerdote, il padre, l’educatore per loro e per le loro famiglie, con il sorriso, la pazienza, la carità concreta”. “Quella dei sordi è come una parrocchia sparsa di cui è parroco, unita nei cuori”.
Don Adriano era un uomo fatto carità; era la sua pelle. Non ce la faceva, come una volta ha detto Mons. Verucchi, a non essere buono. Mons. Lanfranchi ha citato, testimoniando la carità del sacerdote, anche le parole del sindaco Claudio Pistoni: “Don Adriano lascia una preziosa lezione di umanità, bontà, impegno sociale, attenzione per gli ultimi, capacità di incontrare e ascoltare tutti, perché testimoniata e vissuta in un cammino che non gli hanno risparmiato sofferenza fisica e dolore, sopportati con la forza della mitezza e del sorriso”.
La sua bontà non nasceva solo da una predisposizione naturale e da un carattere mite, ma da una profonda spiritualità, da un costante rapporto con Gesù Cristo, dalla fede e dalla carità. “E’ stato prete fino in fondo, servendo la chiesa con totale dedizione e affetto. Non ha mai detto di no, non ha mai misurato le sue forze. Si fidava dei suoi superiori. Negli ultimi anni il Signore l’aveva reso più partecipe della sua croce; anche la croce è una manifestazione d’amore”.
Don Adriano era il buon samaritano che affermava: “Niente paura, sempre avanti nel nome del Signore” perché “i gioghi del Signore sono sempre lievi”.
Durante la Preghiera dei Fedeli è stata espressa la speranza che la santità di Don Adriano possa un giorno essere riconosciuta ufficialmente anche dalla Chiesa.
La cerimonia si è conclusa con testimonianze sulle opere di Don Adriano fino all’auspicio espresso dal sacerdote dell’ Istituto Don Gualandi di Bologna all’arcivescovo: “Lui è stato il parroco della parrocchia diffusa dei sordi; prestaci un nuovo sacerdote”.
Svolto il rito e dato l’estremo saluto, la bara è stata portata a spalla dai sacerdoti fino all’automobile, circondata dalle mani alzate dei suoi ragazzi, dall’applauso della folla, da numerosissimi occhi lucidi e voci spezzate e la piazza è diventata un unico grande abbraccio perché in quel momento hanno parlato i cuori e fra i cuori non ci sono sordi e muti.