Il 30 gennaio 1944, a poco più di un mese dall’uccisione dei sette fratelli Cervi e di Quarto Camurri, nel poligono di tiro di Reggio Emilia i fascisti repubblichini fucilarono don Pasquino Borghi e altri otto antifascisti: Ferruccio Battini, Romeo Benassi, Umberto Dodi, Dario Gaiti, Destino Giovannetti, Enrico Menozzi, Contardo Trentini ed Enrico Zambonini.
Il 69simo anniversario dell’eccidio è stato ricordato oggi, mercoledì 30 gennaio, con un programma di iniziative promosse da Comune e Provincia di Reggio Emilia, Istituto ‘Alcide Cervi’, Istoreco, associazioni partigiane Anpi, Alpi, Apc, Anppia.
Per rendere partecipi e approfondire quei dolorosissimi eventi con chi li ha vissuti, insieme alla deposizione di una corona nel Poligono di tiro, alla presenza delle autorità cittadine, i promotori delle celebrazioni hanno organizzato, nella nuova palestra della sede scolastica di Rivalta, un incontro con ragazzi e ragazze della scuola media che porta il nome del prete antifascista. Erano presenti l’assessore all’Educazione del Comune di Reggio Emilia Iuna Sassi, l’assessore alla Sicurezza sociale della Provincia Marco Fantini, Giacomo Notari e Danilo Morini, delle associazioni Partigiane Anpi e Alpi-Apc. Hanno partecipato inoltre i familiari di Umberto Dodi, Gianni Dodi e la nipote Simona Casarini, i quali hanno letto una testimonianza di quei tragici anni e alcune poesie di Rosa Storchi, moglie di Umberto.
L’incontro è stato chiuso da Massimo Storchi, storico di Istoreco, con il quale i ragazzi, successivamente, visiteranno i luoghi della detenzione e della fucilazione di Don Borghi.
“I tempi che ricordiamo oggi, a voi possono sembrare lontani – ha detto Sassi rivolgendosi ai ragazzi – ma sono gli anni nei quali sono nati i vostri nonni i quali, non ancora maggiorenni, hanno scelto di stare dalla parte degli oppositori al fascismo e al nazismo. Dobbiamo essere grati a loro perché hanno gettato le basi per vivere settant’anni in pace e spetta a voi non disperdere il messaggio che ci hanno lasciato e raccoglierne il testimone. Ricordate: non ci si deve mai abituare a pensare che la violenza e le guerre siano la normalità”.
Anche Storchi ha parlato del valore della memoria nella costruzione di un’identità condivisa (“come un muscolo, deve essere costantemente allenata”) e ha sottolineato l’importanza dei luoghi e degli oggetti per tenerla viva. Nel contesto di questo discorso, particolarmente emozionante è stato il momento nel quale Storchi ha chiesto a un ragazzo di mostrare un oggetto, apparentemente banale: la valigia di don Pasquino Borghi (v. foto allegata), custodita nella sede di Istoreco insieme alla tonaca, recante i buchi dei proiettili e il sangue del prete fucilato. “Quando i testimoni diretti non saranno più tra noi, come faremo a conservare la memoria di quei fatti? Attraverso gli oggetti e i luoghi, che ci accompagneranno anche nel futuro”, ha spiegato Storchi, il quale ha invitato i ragazzi a essere sempre curiosi e a pensare che tutto quanto accade li riguarda. “Le persecuzioni non sono mai finite”, ha detto ricordando recenti episodi contro gli ebrei in Ungheria e contro gli omosessuali in Russia e citando una poesia del pastore protestante Martin Niemöller, dapprima attivista a favore di Hitler, poi oppositore del nazismo e per questo imprigionato in campo di concentramento: “Quando i nazisti presero i comunisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero comunista./ Quando rinchiusero i socialdemocratici/ io non dissi nulla/ perché non ero socialdemocratico./ Quando presero i sindacalisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero sindacalista./ Poi presero gli ebrei,/ e io non dissi nulla/ perché non ero ebreo./ Poi vennero a prendere me./ E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa».
Da Un prete nella Resistenza – Don Pasquino Borghi, di Salvatore Fangareggi:
“Verso mezzanotte, fu introdotto un sacerdote che disse: “Cari amici, dove potrei mettermi? Mi occorre solo un po’ di spazio”. L’ambiente era ristretto, lo spazio scarsissimo, e Battini riuscì a fare un po’ di posto a don Borghi che si accovacciò vicino a lui. Gli fu chiesto come mai un sacerdote era tra loro. Rispose: “Mi hanno preso a Villa Minozzo. Mi chiamo don Pasquino Borghi”.
C’era chi si disperava e diceva: “Tra poco ci uccideranno…”, Don Pasquino cercava di tranquillizzarli con queste parole: “Non dovete piangere, né star male. Voi non avete fatto nulla di male, io invece sì, per i fascisti. Di certo non mi daranno meno di venti anni di galera.”
Questo fu il sereno e coraggioso atteggiamento di don Pasquino Borghi nella notte che precedette l’esecuzione. Non illudeva sé stesso, ma cercava di tenere viva una luce di speranza nei suoi compagni di sventura.”