Oltre la metà (53,8%) delle nuove assunzioni a livello provinciale viene realizzata all’interno di alberghi, ristoranti e pubblici esercizi, la cui incidenza sul totale cresce nel 2012 di 2,2 punti percentuali, rispetto al 51,6% del 2011. E’ quanto emerge dal terzo numero del Bollettino del Lavoro inerente il mercato del lavoro e dell’occupazione nella provincia di Rimini.Pressoché invariato a distanza di un anno risulta il peso degli ‘Altri servizi’ che raccolgono nei primi nove mesi del 2012 circa il 30% degli avviamenti. Terze in ordine di grandezza sono le imprese commerciali con il 7,5%; seguite dalle attività manifatturiere con il 3,6% e dall’edilizia con il 2,6%. Per tutti e tre i comparti citati il confronto con il 2011 fa emergere una lieve riduzione della quota percentuale, mentre alle attività agricole, ittiche ed estrattive, i è riconducibile il 2,4% degli avviamenti registrati in provincia di Rimini nei primi nove mesi del 2012. Nel periodo gennaio-settembre 2012 soltanto il 5,9% delle assunzioni ha visto l’applicazione di un contratto a tempo indeterminato, mentre la maggioranza di esse ha assunto la forma del lavoro dipendente a tempo determinato (54,8%). Cresce, invece, l’incidenza del lavoro intermittente o ‘a chiamata’ con il quale è stato attivato quasi il 26% degli avviamenti registrati nei primi nove mesi del 2012. Grazie ad un aumento di 3,8 punti percentuali rispetto al 2011, praticamente una assunzione su quattro in provincia di Rimini viene oggi regolata con questa modalità contrattuale. Nei primi nove mesi del 2012 crescono dell’1,3% le persone avviate che hanno la residenza sul territorio provinciale, laddove coloro i quali provengono da un’altra provincia italiana o da un Paese estero si riducono del 4,7%. La componente femminile rappresenti il 53,9% dei nuovi assunti e quella maschile il 46,1%, secondo una distribuzione che appare identica a quella del 2011La tendenza verso una significativa riduzione dei nuovi disponibili al lavoro, emersa nel primo semestre dell’anno (- 10,4%), prosegue e si accentua nei tre mesi successivi, dal momento che il loro numero scende dai 9.142 del periodo gennaio-settembre 2011 ai 7.986 del 2012, corrispondenti ad una variazione negativa del 12,6%. La crescente frammentazione delle carriere professionali fa sì che un numero sempre maggiore di individui possa alternare periodi, più o meno brevi, di lavoro e non lavoro, senza perdere, almeno dal punto di vista amministrativo, uno stato di disoccupazione acquisito in passato (che non superano determinati limiti di reddito e di tempo). Non si può escludere, inoltre, che il protrarsi della crisi economica stia scoraggiando alcuni segmenti della popolazione in età attiva dalla ricerca di un impiego, orientando gli stessi verso una temporanea uscita dal mercato del lavoro.”I dati dell’occupazione nell’ultimo trimestre – spiega Meris Soldati, assessore alle Politiche del Lavoro – ci danno anche un quadro più complessivo dell’andamento dei primi nove mesi del 2012. Sono numeri che ci preoccupano. Innanzitutto gli avviamenti sono per lo più relativi ai tre mesi della stagione estiva e alle attività del comparto turistico, con una crescente frammentazione nella durata contrattuale”. “L’aumento degli avviamenti e degli avviati – fa notare – non si trasforma in un reale aumento dell’occupazione, perché trattasi perlopiù di lavori a termine; anzi, il saldo rispetto l’anno scorso fa registrare un segno meno. Gli altri comparti economici, dall’edilizia al manifatturiero, sono invece in sofferenza oramai strutturale. I dati dunque sembrano evidenziare una difficoltà crescente, da parte soprattutto dei settori di popolazione più deboli (giovani, donne, immigrati) ad inserirsi nel mercato del lavoro vista la scarsità di sbocchi occupazionali, nonostante l’intensa attività svolta dai Centri per l’impiego. In tutto ciò gioca un ruolo importante la politica del Governo di tagli e rigore (senza azioni concrete per sostenere lo sviluppo) e il crollo dei consumi, che a livello nazionale sta portando ad una sofferenza crescente da parte delle famiglie e dei singoli”. “A livello locale – precisa – con i protocolli sullo sviluppo, con gli investimenti in istruzione e formazione, si è cercato di dare segnali importanti. Tutto ciò però, senza una politica nazionale che vada nella stessa direzione, non è più sufficiente. Alcune proposte concrete per risollevare alcuni settori come l’edilizia sono già note e riguardano l’ allentamento del patto di stabilità degli Enti Locali per quanto gli investimenti pubblici, gli incentivi alla ristrutturazione del patrimonio, alla riconversione energetica e la messa in sicurezza degli stessi. Il quadro che emerge è dunque di difficoltà. Il rischio è anche quello di una minore reattività del territorio alla crisi, di una rassegnazione sociale e di una perdità di fiducia nel futuro. Un grido di allarme che deve essere di tutto il territorio, che ci deve vedere accomunati in una richiesta di cambio di politiche economiche e sociali a livello nazionale”.