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I Magazzini Criminali al Festivalfilosofia 2012

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Dal 14 settembre al 7 ottobre 2012, in occasione del Festivalfilosofia 2012 sulle ‘cose’, i Magazzini Criminali vi aspettano nel suggestivo Piazzale Gazzadi con tre personali: ‘Fusione endogena delle cose’ di Enrica Berselli a cura di Chiara Messori; ‘Ex voto’ di Maurizio Mantovi a cura di Vanni Codeluppi e ‘My toys, di Ingrid Russo a cura di Giovanni Fantasia.

“Il corso delle cose è sinuoso” Merleau-Ponty

Il Corpo visto come “condizione necessaria per l’esperienza”, apertura percettiva al mondo nel momento in cui la percezione ha ruolo attivo e costitutivo del mondo.

Anelare a fondersi con le cose in modo endogeno, incamerandone simboli e valori significa dare e darsi la possibilità di generare un essere nuovo, formato secondo un’ideale di paideia che tende a “de-storicizzarlo, renderlo sintesi vissuta e punto di convergenza di un universo articolato di cultura e, in tal senso, si caratterizza come processo ideale di un rapporto tra individuo, cultura e mondo naturale e sociale” (liberamente tratto da L. Cerrocchi “Relazione e apprendimento nel gruppo classe”).

Quella della Berselli è una figurazione utopica nel senso letterale del termine (U-TOPOS, cioè senza luogo), non è ascrivibile ad uno spazio fisico ma si colloca nella mente di chi la guarda.

I suoi non sono solo quadri ma “penetrazioni e trasformazioni dell’animo umano” ci fanno esplorare nuove traiettorie di viaggi mentali e sentimentali.

E il primo viaggio mentale mi riporta indietro nel tempo, alla violenza, ed insieme, alla bellezza estreme delle performance anni ’70 di Gina Pane in cui era sempre il corpo ad esser protagonista ma in maniera più eclatante.

Non c’è spettacolarizzazione nel percorso performativo della Berselli ma solo restituzione: Antietherea si colloca in una dimensione di assoluto distacco da un’immagine di bellezza ideale. L’autrice si seppelisce, lascia che il peso del terreno le gravi sul corpo fino a soffocarla e a provocarle abrasioni; questo è un ritorno. E’ ritorno all’idea di terra che dà la vita ma anche alla consapevolezza della deperibilità del corpo ed dei suoi limiti fisici; ed ancora è accettazione della composizione organica del’umano, identica, quanto al brulicare di fenomeni vitali, alla terra e ai microrganismi che in essa fervono di vita e cambiamento senza sosta. PANTA REI , diceva Eraclito , ed è a questo aforisma che l’opera della Berselli ci dice di arrenderci. L’opera è frutto di un introspezione che prende avvio da un atto rituale poi fissato sulla tela. E’ una reliquia del processo di fusione endogena.

Come reliquia è anche Osteosiderurgica, opera in cui il ferro, materiale di scarto, si fonde con il fragile corpo dell’artista che cerca di carpirne la segreta robustezza. Ma qui siamo di fronte all’abbandono delle cose ed al rifiuto degli ambienti artificiali per arrivare ad una completa compenetrazione con la materia organica.

Sulla scia di Osteosiderurgica troviamo la membrana plastica che avvolge il corpo “frammentato” dell’artista nel trittico denominato Deprivazione dei sensi, quest’oggetto si configura come “sudario contemporaneo” che simbolicamente isola e difende dalle percezioni esterne, sensoriali ed emotive.

In Incursione cerebrale infine affronta il tema della dell’invasività delle tecnologie sulla psiche umana. Le scienze hanno sempre preteso di spiegare l’inspiegabile, arrivando ad asplorare anche campi a loro opposti ed impenetrabili. In determinati periodi storici esse sono assurte a vere e proprie religioni dai dogmi sacri per poi cadere nell’oblio solo il decennio dopo.

Lo sfondo d’oro di quest’opera ci riporta alla mente la sacralità assunta da quest’ apparecchio scientifico che analizza il corpo e la memoria di una figura ignota (che è l’autrice stessa, materiale vivo di ogni rituale alla base dei suoi quadri) di cui vediamo solo un lungo ciuffo di capelli corvini.

In conclusione passiamo dal macrocosmo del mondo al microcosmo dell’artista per tornare alla visione che ha l’artista del “suo” mondo; in questo passaggio non vi è nulla di forzato, tutto appare naturale, come i naturali fatti della vita…nascere dalla terra per poi tornare ad essa in un circolo che da millenni si ripete sempre uguale…e torniamo così a quel “corso delle cose” magistralmente condotto dagli artisti svizzeri Peter Fischli e David Weiss nell’ormai lontano 1987, in cui erano mostrate reazioni a catena fra semplici suppelletili ma anche fra fluidi infiammabili e sacchi della spazzatura. Essi illustravano il livello massimo a cui può giungere la tensione per poi sfociare in modo improvviso, in un cambio di condizione. Sembra che le cose seguano un loro corso, quando certi avvenimenti ci colgono riteniamo che non abbiano a che fare con noi ma, alla fine, scopriamo che per un loro percorso “sinuoso” arrivano ad avere conseguenze proprio per noi.

Forse è questo lo stato attuale delle cose, avremo cambiamenti di cui non siamo coscienti, ma che ci richiederanno nuove strategie di sopravvivenza.

Chiara Messori

“Dentro la superficie”

Maurizio Mantovisi diverte da sempre a giocare con la realtà che lo circonda. Riproduce quello che vede e contemporaneamente lo arricchiscedi significati. Perciò nei suoi lavori riprendela realtà, ma lo fa solitamente isolando in essa una porzione. Isolando cioè un dettaglio dello spazio apparentemente privo di significato, ma che, dopo che Mantovi vi ha aggiunto numerosi elementi, mostra di possedere un’organizzazionee una struttura. E spesso Mantovinon si accontenta di rimanere in superficie, mainterviene anche in profondità. Va cioè direttamente dentro le superfici bidimensionali sulle quali si concentra. Le operedi Mantovipertanto non sono delle sculture, ma possiedono ugualmente il dono della tridimensionalità. Sono cioè delle paradossali “superfici dense”.

Il lavoro artistico di Mantovi è cominciato qualche anno fa con la ripresa di pezzi di muro. Apparentemente il muro delle abitazioni è una barriera che impedisce di vedere l’interno, mentre in realtà è un’unione inscindibile di esterno e interno. Dunque ha uno spessore. Pertanto, se lo si guarda bene,contiene un mondo affascinante, uno spettacolo seducente per gli occhi dei passanti. Si tratta di riuscire a leggere i suoi molteplici strati. Perché il muro contiene la stratificazione delle epoche che si sono succedute nel corso del tempo. I molteplici segni che vi si sono depositati costituiscono cioè la memoria delle esperienze vissute. Sono graffiti passati al di là della superficie, per integrarsi profondamente nel muro.Mantovipertanto ha ripresoquesti graffiti e li ha trattati arricchendoli di senso.

Ora mette invece al centro del suo lavoro non piùdei muri, ma altre superfici come i pavimenti. Questi però non esprimono soltanto dei significati, ma sono dotatidi una particolare identità. Perché sono pavimenti d’artista. In essicioè è possibile individuare lo stile espresso nel suo lavoro da un determinato artista. Uno stile talmente importante e socialmente riconosciuto da essere diventato una specie di luogo comune. E Mantovi immagina che esso abbia contaminato lo spazio nel quale l’artista ha lavorato. Così come immagina che si sia concentrato in quei contenitori “densi” che egli ha costruito apposta per catturarlo.

Seppure tridimensionali, i lavori di Mantovi sono delle immagini. Da sempre infatti Mantovi legge in modo fotograficola realtà. Questa perciò viene riprodotta, ma soprattutto composta e rielaborata, come consente di fare appunto il medium fotografico. Apparentemente oggi l’immagine sembra essersi indebolita. In realtà, in una situazione di ipertrofia comunicativa come quella contemporanea, con persone che si trasmettono enormi quantità di messaggi e società e culture che si intrecciano sempre più tra loro, l’immagine è l’unica salvezza per chi ha bisogno di comunicare con efficacia. Un’immagine potente può “bucare” lo schermo e imporsi all’attenzione generale, facendo diventare superflue le parole. L’immagine, infatti, è in grado di raccontare autonomamente delle storie. In apparenza, sembra non poter dare uno sviluppo temporale alla narrazione, bloccata com’è nell’istante immobile dello scatto fotografico. In realtà, l’istante fissato dall’immagine può essere una storia condensata, un momento proveniente da un flusso narrativo più ampio che il fruitore viene indotto a ricostruire mentalmente. Un momento che può racchiudere in sé delle fortiemozioni. Come succede nelle opere di Mantovi, dove la stratificazione dei segni del tempo sulla superficie ridiventa viva e vitale proprio grazie a quel lavoro di arricchimento e rielaborazione ludica che ne è stato fatto.

Vanni Codeluppi

Sono cose in piena regola, i My ToYs: ideali e materiali, definite eppure non classificabili.

Nascono mobili, come regalo da fare agli amici, cose create, finite e donate. Per declinarsi più tardi in community, comunità immaginaria, espandibile, potenzialmente infinita; affiancata poi da gruppi di persone in carne ed ossa, estimatori di settore, appassionati occasionali, nuovi amici.

Sono figure meticce, mixate, irreali, i My ToYs, capaci però di dissolvere quella cortina che spesso distingue e separa due mondi: l’aeroporto fantasioso e roboante dei bambini e la torretta di controllo degli adulti; capaci di rimettere in rapporto questi luoghi della mente, questi poli alla deriva (poli in dialogo costante, viceversa, nel paese da cui sorge quest’idea del kawaii, del dolce-leggero-bizzarro, ossia il Giappone contemporaneo); capaci essenzialmente di passare un’espressione, un sentimento, un’attitudine alla vita.

Sono soprattutto cose uniche, i My ToYs, cose clonabili ad occhio, al di fuori del concetto pervasivo di prodotto, serie, cosa omologata strettamente funzionale. Perché il taglio – se succede di rifare un certo toy – disegna un angolo più acuto o un rigo appena più abbondante, perché i punti del cucito si dispongono secondo un altro ritmo, e se la stoffa la si trova di un colore differente può andar bene, addirittura può andar meglio; cambierà un accostamento, una livrea, cambierà – ancora una volta – il carattere del personaggio.

Ciò che rimane, incorrotta e brillante, è la singolarità di ogni figura; quella natura di cosa pacifica e benaugurante, che in un contesto sociale – massimizzando il pensiero di Ingrid – potremmo tradurre nel sogno di vivere serenamente, alla pari, le proprie realtà.

Accompagnati, guidati, accuditi pur sempre da piccole e sane irrealtà.

Giovanni Fantasia