Home Filosofia Storia di un ombrello che voleva diventare opera d’arte

Storia di un ombrello che voleva diventare opera d’arte

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Francesca ha portato un ombrellino, di quelli che si usano per riparare le torte dalle mosche: “Mi ricorda mia suocera e il suo sconfinato ricettario”. Simona ha scelto un pallone da volley, lo sport che l’ha accompagnata dall’infanzia fino all’altare, al matrimonio con un compagno di gioco. Luigi un sasso, raccolto tra le montagne che ama, e Stefano una lampadina come simbolo di idee nuove. Sono le storie di alcune delle “cose” che i cittadini modenesi hanno già portato al Museo civico d’arte e che a settembre confluiranno nell’installazione che l’artista piacentina Claudia Losi realizzerà per il Festival filosofia.

“Porta una ‘cosa’ di cui sai e vuoi poterti privare e raccontaci il tuo legame con essa. L’ingombro massimo è quello che puoi tenere in mano o sottobraccio”. Questo l’invito rivolto dall’artista ai modenesi, che hanno tempo fino al 16 settembre per diventare parte attiva nella nascita dell’opera d’arte. Gli oggetti, che nel corso della performance saranno avvolti in una serie di sfere di filato, fino a scomparire, si possono consegnare al terzo piano di Palazzo dei Musei in viale Vittorio Veneto 5. Diventeranno parte integrante dell’opera (che rimarrà patrimonio del Museo) e non saranno restituiti. Assieme al personale del Museo, parteciperanno alla fase di raccolta e catalogazione anche studenti dell’istituto Cattaneo-Deledda e del liceo Muratori, che registreranno la storia dell’oggetto e rilasceranno al proprietario una ricevuta.

Alla base dell’invito c’è la volontà da parte dei Musei Civici di riflettere sulle dinamiche che puntano al coinvolgimento attivo del pubblico nella produzione dell’opera d’arte. I visitatori che sceglieranno di essere coinvolti nell’evento saranno invitati a individuare una “cosa” che ritengono significativa per il proprio vissuto e a consegnarla alle cure dell’artista, che durante i tre giorni del Festival proporrà un work in progress in museo, creando in diretta una serie di sfere di filato. Le cose consegnate dal pubblico saranno man mano avvolte da un filo nero fino a scomparire.

La memoria raccolta al momento della consegna ha la funzione di registrare quello che Ernst Bloch definiva il “dorso delle cose”, le qualità sensibili di cui sono inevitabilmente portatrici le “cose” rispetto agli oggetti, la storia e i significati affettivi che proiettiamo su di esse e che vanno ben al di là del semplice valore d’uso. La filatura eseguita dall’artista, per avvolgere e custodire le forme quasi come un bozzolo, è simbolo di metamorfosi e rigenerazione in una nuova forma. “L’atto creativo si configura come volontà rivelatrice di una trasfigurazione”, spiega la curatrice del progetto, Cristina Stefani: “le cose donate, dissociate dall’aura affettiva di chi le ha possedute, ma di cui resta testimonianza scritta nell’atto della consegna, si trasformano in spoglie di un uso e al contempo elementi strutturali per una nuova vita delle cose, dotata di una rinnovato slancio”.

Claudia Losi definisce le sfere “madreforme”, recuperando l’idea della matrice feconda che mantiene la cifra simbolica dell’origine, delle cose che l’hanno generata. In quest’opera si fondono pratiche peculiari del lavoro di Claudia Losi (Piacenza, 1971): l’interesse per le modalità operative del work in progress che puntano verso orizzonti esperienziali corali e partecipativi basati sul rapporto fra persone, piccole comunità locali sparse per il mondo da cui scaturiscono scambi significativi, e l’utilizzo del filo e del tessuto come mezzi di indagine privilegiati.

Per consegnare le “cose” da destinare all’opera d’arte, il punto di raccolta ai Musei civici è aperto da martedì a venerdì dalle 9 alle 12, sabato e domenica dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19 (informazioni: 059 2033100 www.comune.modena.it/museoarte).