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Enigmatico dipinto arricchisce i Musei Civici di Modena

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Si intitola “Madonna con il Bambino in trono e i santi Sebastiano, Gioacchino, Anna, Francesco e Chiara“, risale al tardo Quattrocento ed è da anni al centro di un importante dibattito critico il dipinto che sarà presentato al pubblico sabato 19 giugno alle 10.30 alla sala dell’Oratorio del Palazzo dei musei di Modena, in largo Porta Sant’Agostino. Il proprietario dell’opera l’ha prestata gratuitamente al Museo civico d’arte per renderla visibile al pubblico ed effettuare studi che contribuiscano a sciogliere parte dei misteri che la circondano: dall’identità dell’autore (il Maestro della pala Grossi o Giovanni Antonio Bazzi?) a quella di uno dei santi ritratti (Gioacchino, padre della Vergine Maria, oppure Omobono, compatrono di Modena?), dalla destinazione della tela (pala d’altare o stendardo processionale?) a quelle che furono la collocazione originaria e la committenza.

Alla presentazione di sabato 19 interverranno il sindaco di Modena Giorgio Pighi, la direttrice del Museo civico d’arte Francesca Piccinini e lo storico dell’arte Angelo Mazza. Alle 12 è prevista la visita all’opera, esposta nella sala d’arte sacra del Museo (gli orari di apertura sono dal martedì al venerdì dalle 9 alle 12 e sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19, informazioni allo 059 2033100).

Il dipinto, che costituisce un enigma ancora in larga parte irrisolto nell’ambito della pittura emiliana del tardo Quattrocento, arricchisce le collezioni civiche modenesi grazie al deposito che gli attuali proprietari hanno concesso al Museo civico d’arte. L’esposizione dell’opera in una sede pubblica offre l’occasione per studiarla e forse per risolvere finalmente l’enigma legato al suo possibile autore. La prossimità tra l’opera e il realismo plastico dello scultore Guido Mazzoni ha portato anche ad esporla, lo scorso anno, alla mostra “Emozioni in terracotta. Guido Mazzoni e Antonio Begarelli: sculture del Rinascimento emiliano”.

L’importanza del dipinto, eseguito su tela con colori a tempera e apparso improvvisamente dal nulla nel 1984, risultò subito evidente, assieme ai suoi numerosi enigmi. Nella storia della pittura rinascimentale emiliana l’opera appare come una sorta di anello di congiunzione tra la cultura ferrarese di Francesco del Cossa, quella dei bolognesi Antonio di Leonello da Crevalcore e Antonio di Bartolomeo Maineri, dei modenesi Angelo e Bartolomeo degli Erri, Cristoforo Canozi da Lendinara e Francesco Bianchi Ferrari e del reggiano Bernardino Orsi. Critici e storici dell’arte, nell’arco di oltre vent’anni, hanno infatti dato vita a diversi tentativi di identificazione dell’autore.

Ampio il ventaglio delle proposte avanzate, tutte entro un periodo compreso tra il 1475 e il 1500 e in una geografia artistica che, sulle premesse dei pittori dell’ “Officina ferrarese”, si estende da Bologna a Modena e Reggio, fino a Parma. Critici come Sgarbi e Todini hanno ipotizzato si trattasse di Antonio di Leonello da Crevalcore, l’autore della “Sacra Famiglia” firmata e datata 1493, andata distrutta nella seconda guerra mondiale e nota attraverso una riproduzione fotografica. Lucco ha proposto un ignoto pittore attivo tra Bologna e Modena, affine al cosiddetto Maestro di Ambrogio Saraceno ricostruito da Roberto Longhi, al quale veniva applicata, in attesa di elementi chiarificatori, la provvisoria denominazione di Maestro della Pala Grossi, dal nome dell’allora proprietario dell’opera. Si è parlato poi di Pseudo-Crevalcore, pittore affine ad Antonio di Leonello e autore di una Madonna con Bambino conservata al Museo di Springfield e, infine, del bolognese Giovanni Antonio Aspertini, il cui profilo stilistico sfugge tuttora alla critica, padre del celebre Amico e di Guido Aspertini oltre che autore nel 1496 delle disperse ante d’organo della basilica di San Pietro a Roma.

Negli ultimi anni, dopo il restauro dell’opera, è stata proposta anche una nuova interpretazione, notando che le iniziali dell’iscrizione ricorrevano in affreschi del monastero di San Giovanni Evangelista a Parma, riconducibili, grazie a documenti noti nel Settecento, a Giovanni Antonio Bazzi, attivo tra Parma e Reggio e omonimo del Sodoma. In base all’accreditata identità di mano tra la tempera prestata al Museo modenese e la tela di Springfield è perciò possibile che la denominazione convenzionale di Maestro della pala Grossi debba scomparire per essere sostituita dal nome di Giovanni Antonio Bazzi. Dell’opera non si conoscono neppure l’edificio di culto, la città di destinazione e il committente. Potrebbe trattarsi di una compagnia di penitenti, a giudicare dai confratelli incappucciati sotto il manto della Madonna della Misericordia che sventola nel minuscolo stendardo dipinto in alto, nell’angolo sinistro.