Spetta a Maria Grazia Maioli, archeologa della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, tracciare il quadro di un rapporto da sempre difficile, quello tra uomo, donna e potere.
L’incontro prevede la proiezione di numerose immagini che potrebbero risultare imbarazzanti per la sensibilità contemporanea ma che appartengono a pieno titolo alla più alta storia dell’arte. Introduce l’architetto Severino Maccaferri.
L’appuntamento è per domani, martedì 30 settembre 2008, ore 21 a Bologna, Parco di Villa Torchi, Tenda Maracanà Via Colombarola n. 46 (quartiere Navile). Ingresso gratuito.
Atene, V sec. a.C., età di Pericle, momento aureo della cultura greca. L’uomo è centro, misura e paradigma di ogni cosa; il suo corpo nudo, un ideale di forza e di bellezza. Naturale che il suo dettaglio più simbolico, il fallo, finisca per assumere anche un valore rituale e religioso.
La donna non ha molte scelte. Se è moglie, è donna di casa, relegata nelle sue stanze -il gineceo- senza alcun potere; unico sfogo, le cerimonie religiose, in cui il simbolo fallico mantiene comunque la propria valenza. Se è etera, può danzare e cantare, può accompagnare l’uomo nelle occasioni di vita sociale, banchetti, simposi, a cui partecipa senza risparmiarsi anche quando il finale sbocca nella sfera sessuale. In entrambi i casi le è preclusa l’educazione del figlio maschio, affidato al padre che lo introduce in ogni sua attività, dalla palestra al banchetto, con tutto ciò che questo può comportare.
In epoca ellenistica, la condizione femminile non migliora. Anche se nel IV-III sec. a.C. i cambiamenti della vita e della cultura greca inducono a una sua diversa valutazione, la donna resta sempre chiusa nella sfera domestica, a tessere e filare.
Roma, II sec. a.C.-V sec. d.C. Per i romani, la vita della donna è diversa nella sua concezione di base: l’ideale maschile prevede sì una moglie che fila la lana, ma anche che alleva i bambini. Ciò implica non solo che sia istruita, ma soprattutto che sia in grado di educare i figli al loro ruolo di cittadini romani e dominatori del mondo. Nel mondo romano il simbolo fallico, personificato dal dio Priapo, ha soprattutto una valenza protettiva.
Privo delle implicazioni apportate dal Cristianesimo, tanto in Grecia quanto a Roma l’atto sessuale, in tutte le sue manifestazioni, è considerato assolutamente normale ed è quindi raffigurato -in varianti anche acrobatiche- sugli oggetti della vita di tutti i giorni.
Archeologa della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna