‘Scovare’ le placche infiammate per identificare i pazienti a rischio ictus: solo il 26% dei pazienti con occlusione della carotide di alto grado ha infatti realmente bisogno di un intervento chirurgico di rimozione delle placche presenti, mentre è proprio il livello di infiammazione il più importante fattore di rischio.
La conferma viene da uno studio italiano condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Tor Vergata, coordinato da Giusto Spagnoli, pubblicato sulla rivista JAMA (Journal of the American Medical Association).
”Questo studio – ha spiegato Spagnoli, direttore della Cattedra di Anatomia Patologica di Tor Vergata e commissario straordinario degli Istituti Fisioterapici Ospitalieri di Roma – mette in luce come il livello di infiammazione, e non il grado di stenosi, ovvero di restringimento, dell’arteria carotidea, costituisca il più importante fattore di rischio di ictus”.
Sempre secondo lo studio, nei pazienti ad alto rischio, che hanno cioè già subito un ictus, il 40% delle placche rimane attivo e continua a formare trombi. Questi individui corrono quindi il pericolo di subire un nuovo evento. Infatti, un gruppo compreso tra il 15 ed il 29% di loro andrà effettivamente incontro a un secondo attacco, spesso devastante o mortale. E’ ora dunque importante, ha sottolineato l’esperto, individuare i mezzi per ‘scovare’ l’eventuale presenza di infiammazione delle placche: ”E’ importante cioè – ha precisato – reimpostare le priorità dell’industria e della ricerca sanitaria italiana e internazionale, per indagare in modo efficace queste nuove frontiere e mettere a punto i mezzi per combattere la patologia”.
Cambiare criterio selettivo privilegiando la presenza di infiammazione, ha sottolineato Spagnoli, ”richiede infatti la messa a punto di metodi di rilevazione ad hoc. Alcuni sono già in uso, come l’ecotomografia che esplora la qualità della placca presente sulla carotide, mentre altri mezzi diagnostici sono ancora in sperimentazione”. Tra questi, l’utilizzo di anticorpi radioattivi. Anche la termografia mediante sonde intravascolari presenta notevoli potenzialità, grazie alla sua capacità di rilevare la temperatura della placca e quindi il suo stato di infiammazione. Gli stessi ricercatori dell’Università di Tor Vergata, in collaborazione con i medici nucleari dell’Università di Roma La Sapienza, hanno condotto un lavoro su un marcatore dell’infiammazione in attesa di pubblicazione cui dovranno seguire trial clinici che richiederanno due-tre anni. Una volta evidenziata la presenza di placche infiammate, ha spiegato l’esperto, è poi necessario provvedere a ‘raffreddarle’.
”Con questo lavoro abbiamo indicato un bersaglio da raggiungere – ha concluso Spagnoli – spetta poi al mondo della ricerca sanitaria e all’industria operare in modo che a queste indicazioni corrisponda un preciso sforzo per mettere a punto terapie efficaci che riducano al minimo il numero di interventi chirurgici”.
Terza causa di morte nel mondo, l’ictus colpisce in Italia una volta ogni tre minuti, circa 500 volte al giorno e 186 mila in un anno. Fino ai 65 anni interessa in media un italiano su 1000, dopo i 65 anni uno su 70. Una differenza si riscontra anche fra le zone geografiche: la prevalenza è maggiore al Sud (7,3%) rispetto al Centro (5,7) e al Nord (6,5).
(Fonte: Ansa)