Home Ambiente Sacchetti biodegradabili, Confcommercio: “principio condivisibile, strumento sbagliato”

Sacchetti biodegradabili, Confcommercio: “principio condivisibile, strumento sbagliato”


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La discussione sui sacchetti biodegradabili richiede che si faccia chiarezza nell’interesse sia dei consumatori che degli esercenti. «Come già segnalato nello scorso ottobre da FIDA, la Federazione dei Dettaglianti dell’Alimentazione di Confcommercio –dice Donatella Prampolini Manzini, presidente di Confcommercio-Imprese per l’Italia Reggio Emilia- il primo gennaio è entrata in vigore la nuova norma sui sacchetti forniti come imballaggio primario per alimenti sfusi. Più volte, in questi mesi –continua Donatella Prampolini Manzini- gli organismi della nostra confederazione hanno cercato di far capire al Governo che pur condividendo il principio di base, quello di sostituire gradualmente i sacchetti ultraleggeri in uso con altri in materiale biodegradabile, lo strumento imposto dell’Unione Europea ci pare sbagliato».

«Innanzitutto –spiega Donatella Prampolini Manzini- la tempistica per l’adozione di questa norma non era così contingente da obbligarci ad essere tra i primi in Europa e poteva altresì permetterci la ridiscussione dei termini. Ci spieghiamo meglio: se la finalità era quella di preservare l’ambiente non si capisce la necessità di obbligare gli esercenti a far pagare i nuovi sacchetti perché a differenza della norma sugli shopper, vale a dire le borse per il trasporto e le borse riutilizzabili, per i sacchetti utilizzati nei reparti self service una vera alternativa di fatto non c’è».

«In questi giorni –aggiunge Donatella Prampolini Manzini- leggiamo affermazioni di importanti esponenti del Governo che ipotizzano soluzioni fantascientifiche come quelle dell’utilizzo di sacchetti portati da casa dai clienti con l’obbligo da parte degli esercenti di verificarne l’idoneità. Soltanto chi non ha mai lavorato in un punto vendita può pensare che sia una soluzione percorribile e non un modo per creare contenziosi coi clienti e confusione in caso di eventuali controlli. La nostra proposta di prendere quanto meno sei mesi di tempo nei quali non elevare sanzioni per verificare gli effetti pratici di questo provvedimento –conclude Donatella Prampolini Manzini- ci pareva una soluzione praticabile e di buon senso. Prendiamo atto che così non è stato ma almeno evitiamo di applicare cure che sono peggiori della malattia».